PHOTO
Il mercoledì delle ceneri a Ovodda si chiama “me’uris de lessia” e caratterizza il giorno più importante del carnevale locale. La Quaresima si apre nel segno della trasgressione con l’evento che rappresenta la contestazione dell’autorità costituita, probabilmente da ricollegare alle sollevazioni popolari del lungo periodo feudale.
Don Conte è un fantoccio emblematico del potere politico e religioso, che durante tutta la giornata viene trasportato per le vie del paese, con al seguito un corteo di varia umanità. Persone dipinte di nero in viso si uniscono ad altre che brillano per eccentricità e colore, che accostano, ad esempio, improbabili ombrelloni da mare con addobbi di Natale.
C’è chi trascina vecchie lavatrici e chi, invece, improvvisa “concerti” con mestoli da cucina e coperchi di pentole: tutti insieme costituiscono un popolo che canta, balla e si diverte. «Il Carnevale di Ovodda non è “cerimonialità.” -racconta Liborio Vacca, studioso di cultura sarda-. Non esistono regole, nulla è codificato». Emerge il ricordo dalla memoria degli anziani: «Una volta Don Conte veniva trainato da una carriola ed era meno elaborato rispetto a quello che, da almeno vent’anni a questa parte, fa il giro del paese trasportato da un asino che funge da “motore”».
Don Conte ha un aspetto ironico e beffardo, un gigante che ogni anno muta la sua fisionomia, mentre sono ricorrenti, invece, l’elemento fallico e l’impronta paradossale. Nessuno organizza l’evento, non ci sono manifesti che lo annunciano o campagne pubblicitarie che lo anticipano: non è un Carnevale in vendita, anche gli esercizi commerciali rimangono chiusi.
Gianfranco Matteoli, campione dello sport, lega a Ovodda le sue origini e il suo ricordo: «Non posso dimenticare il mercoledì delle ceneri del 1995: un’abbondante nevicata aveva coperto il paese e le nostre facce dipinte di nero creavano un contrasto a dir poco surreale».
Il presentatore Giuliano Marongiu racconta: «Il Carnevale di Ovodda è uno spazio abitato dalla fantasia. E' la mia stagione di libertà, un ritorno all’età della spensieratezza. Aprivo le porte di quel mercoledì respirando la vita che avevo deciso di inventare, ubriaco di follia. Ricordo i pullman di linea forzatamente fermati da allegre comitive, con i viaggiatori di “passaggio” che proseguivano la corsa dipinti di nero, “tatuati” da una trasgressiva manifestazione di identità».
Gisella Vacca, attrice e regista ovoddese, focalizza l’istantanea del passato: «Quando ero piccola, quel mercoledì era in mano a pochi uomini tinti di nero che spaventavano donne e bambini. Nell’arco di mezza generazione, le donne e i bambini vi hanno riversato fiumi di creatività trasformandolo nell’evento che conosciamo. Questa apertura degli uni verso gli altri è una delle qualità del mio paese che amo di più e mi fa vivere questa giornata e le altre della mia vita con un senso di gratitudine profonda per esser nata proprio qui».
A tarda sera, complice l’imbrunire, Don Conte subisce un sommario “processo”, viene pubblicamente dileggiato e infine condannato a morte. La corsa lungo la via principale alimenta il fuoco che brucia il fantoccio prima di essere scaraventato dal ponte di “Pirilai”. Tutto il Carnevale è finito.