L'8 maggio 2015 la Sardegna si era risvegliata in un incubo di sangue: Gianluca Monni -studente di 19 anni di Orune - era stato freddato con un colpo di fucile alla fermata dell'autobus, in paese. Prima di andare a scuola. Una storia terribile che avrebbe riservato lunga serie di sconcertanti colpi di scena, come quello di una strana sparizione. 

Pochi giorni dopo il delitto, dalla stessa zona, si era diffuso un allarme: Stefano Masala, 28enne di Nule, non si trovava più. Un ragazzo tranquillo, come sempre lo hanno definito parenti e amici, che era uscito di casa la sera del 7 maggio e non vi aveva più fatto ritorno.

Era scomparso proprio il giorno prima del delitto Monni: una coincidenza di tempi che non poteva non mettere in allarme gli inquirenti. La svolta investigativa era arrivata circa un mese dopo. Il cerchio si era stretto attorno a due giovanissimi: l'allora 17enne Paolo Enrico Pinna di Nule e suo cugino Alberto Cubeddu, 19 anni di Ozieri. I tasselli messi assieme dagli investigatori hanno poi ricostruito una vicenda a tinte fosche: stando all'inchiesta, nel dicembre antecedente il delitto, durante la manifestazione "Cortes Apetas" Pinna aveva rivolto pesanti apprezzamenti alla fidanzatina di Monni. 

Quest'ultimo era intervenuto per difenderla ma si era ritrovato una pistola puntata alla faccia. Monni però non era solo: il suo gruppo di amici orune si aveva disarmato e pestato Pinna. I giorni successivi, il padre del ragazzo era stato dalla famiglia Monni per richiedere che l'arma gli venisse restituita. La vicenda sembrava chiusa lì. Ma l'odio di Pinna sarebbe stato innescato da una filastrocca in sardo fatta girare su una chat, interpretata come uno sberleffo nei suoi confronti. 

Questo, per gli inquirenti, avrebbe armato la mano del 17enne che, con l'aiuto del cugino, avrebbe architettato la sua vendetta. I due avrebbero attirato il pacifico Masala in una trappola: lo avrebbero prima rapito per rubargli l'auto con cui commettere l'omicidio, e poi ucciso e fatto sparire per far ricadere su di lui ogni responsabilità. 

Il corpo di Masala non è mai stato ritrovato, sua madre non si è mai data pace dell'accaduto e poco tempo dopo la scomparsa del figlio si è ammalata ed è morta. Pinna, sempre difeso da sua madre nonostante gli atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti, è già stato condannato - in due gradi di giudizio - a 20 anni di carcere dalla giustizia minorile. 

Durante la detenzione ha cercato di evadere, ma è stato individuato e arrestato di nuovo poco dopo. Ieri suo cugino Alberto Cubeddu, 22 anni, è stato condannato all''ergastolo e a due anni di isolamento diurno. 

La corte d'assise di Nuoro ha condannato a due anni di reclusione Francesco Pinna, zio dell'imputato, accusato di aver minacciato uno dei super testimoni del processo. Pinna, difeso dall'avvocato Agostinangelo Marras, avrebbe fatto pressioni su Alessandro Taras per fargli ritrattare le dichiarazioni con le quali asseriva di aver assistito all'incendio dell'auto di Masala, appiccato da Cubeddu.

Per lui il pm aveva sollecitato una condanna a due anni e otto mesi di reclusione, ma la corte ha derubricato l'accusa in tentata induzione a non testimoniare riducendo la condanna a due anni.