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Ancora testi nell'udienza pomeridiana di ieri in Corte d'assise a Nuoro per i delitti Monni-Masala. A parlare è stato il padrino di Stefano Masala, Peppone Manca.
"La mattina dell'8 maggio prima di mezzogiorno chiamai Paolo Enrico Pinna, per avere notizie di Stefano (scomparso la sera prima, ndr). Non rispondeva. Andai a casa sua, trovai la mamma che andò a chiamarlo in camera, non c'era. Subito dopo Paolo tornò con una moto da strada di grossa cilindrata col serbatoio celeste, la parcheggiò in garage".
Un particolare che incastra l'imputato, Alberto Cubeddu: quella moto, infatti, risultò essere intestata a lui, cugino di Pinna. Ed è su questo che si basa l'accusa del Pm: Cubeddu avrebbe prestato la moto al cugino la mattina dell'omicidio dello studente per consentirgli di fare rientro da Ozieri, dove sarebbero tornati entrambi dopo aver ucciso Gianluca Monni, verso la sua casa di Nule. Un'accusa confermata dal teste che ha riconosciuto la moto.
"Quando è sceso dalla moto, Paolo aveva gli occhi rossi - ha proseguito l'uomo - a me e alla mamma ha detto che gli era entrata una mosca. Quando gli ho chiesto di Stefano mi ha detto di averlo visto la sera prima verso le 20, mi ha poi raccontato che era andato da lui per chiedergli una intermediazione con una ragazza che gli piaceva molto e mi ha anche detto che se Stefano non fosse riuscito a conquistarla si sarebbe suicidato".
Questa versione, però, non ha convinto Manca.
"Sapevo che Stefano non frequentava più Paolo dopo la sera di Cortes Apertas a Orune", ha detto il teste. Quella sera, nel dicembre del 2014, Stefano era andato a Orune con Paolo, dove quest'ultimo era stato picchiato da Monni e dai suoi amici perché stava importunando la fidanzata dello studente.
Da qui il movente del delitto. Manca ha quindi detto di non aver creduto alla versione di Pinna. L'udienza è stata aggiornata a domani mattina quando sfileranno altri testi dell'accusa.