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La lettera di Giulia Zurru, nipote di Dina Dore, irrompe sul silenzio che la famiglia ha sempre mantenuto, chiusa nel proprio dolore per garantire un presente e un futuro sereno alla piccola Elisabetta. Parole che vogliono fare chiarezza, che nascono dall’esigenza di raccontare un ‘torto’ che, dopo aver perso in modo brutale la mamma, la figlia potrebbe anche subire: ovvero il mancato risarcimento, previsto per legge.
Ma non solo. Questa lettera è un messaggio per chi, come Graziella, la sorella di Dina, e Giulia, deve affrontare un cammino difficile: “Dobbiamo lottare affinché venga garantito a questi sfortunati bambini un futuro migliore”.
La lettera. “Sono passati 11 anni da quando, in quella fredda sera del 26 marzo 2008, Dina è stata ammazzata come una bestia per ordine del marito Francesco Rocca. Il caso, è inutile dirlo, lo rammentano tutti. Come si può, d'altronde, dimenticare una madre ammazzata sotto gli occhi della sua bambina di 8 mesi, una donna lasciata soffocare, dentro il cofano della sua auto, sotto strati di nastro da pacchi. No, certe cose non si possono dimenticare. In tutti questi anni noi, la famiglia di Dina, non ci siamo mai fermati, abbiamo scelto di sopravvivere a questo immenso dolore e per farlo ci siamo appigliati alla verità e alla giustizia.
Una giustizia che arriva il 20 settembre del 2018, quando la corte di cassazione condanna Francesco Rocca all'ergastolo per essere il mandante dell'omicidio. Ma questa è una storia che già tutti conoscete.
La storia che invece voglio raccontarvi è un'altra. Calato il sipario mediatico sul caso di Dina, dopo fa fine dei processi, la mia famiglia ha portato avanti altre controversie legali per far si che alla figlia di Dina, ormai adolescente, venisse garantito il risarcimento a cui Rocca è stato condannato e un mantenimento mensile, anch'esso stabilito dal tribunale di competenza. Ma improvvisamente il rampollo di una famiglia benestante e prestigiosa, dentista, figlio di medici e proprietario terriero sembra essersi trasformato in un indigente uomo, un nullatenente. Naturalmente tutto studiato ad hoc per poter tenere al sicuro i suoi beni. Perché nella vita di questo padre assassino e di chi continua ad appoggiarlo, ciò che conta, non è sicuramente il futuro della bambina a cui ha ammazzato la madre. Quello che conta e tenersi in tasca i soldi che non avrebbero restituito una madre e il suo affetto a questa bambina, ma forse le sarebbero stati d'aiuto in questa sciagurata vita. A quest'uomo non è bastato privare una bambina di sua madre, continua spudorato a sottrarle ciò che le spetta di diritto, appigliandosi vergognosamente a qualsiasi cavillo legale.
Disgraziatamente non siamo soli in questa situazione, infatti questo è quello che centinaia di famiglie, con una storia simile alla nostra, devono affrontare. Ma iI messaggio che deve arrivare a tutti, in particolare alle vittime bianche di femminicidio, in vista della commemorazione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è che non ci si può arrendere. Dobbiamo continuare a combattere ogni giorno contro chi ci vuole depredare d'un qualcosa che ci spetta di diritto e dobbiamo lottare affinché venga garantito a questi sfortunati bambini un futuro migliore.”