"E' una giustizia con cappuccio, una giustizia mascherata dal volto coperto nel buio della notte".

E' la tesi dell'avvocato difensore Mario Lai nell'arringa finale al processo che vede imputato il dentista di Gavoi Francesco Rocca, accusato di essere il mandante dell'omicidio della moglie Dina Dore, avvenuto nel marzo 2008. Il legale picchia duro per smontare l'accusa che ha preso le mosse nell'ottobre 2012 da un biglietto anonimo lanciato di notte a casa della sorella della vittima.

E dopo 4 anni dall'omicidio per gli inquirenti era arrivata la svolta: il supertestimone Stefano Lai racconterà la confessione dell'amico Pierpaolo Contu - condannato sia in primo che in secondo grado come esecutore materiale del delitto - che dirà a Lai di essere stato lui a uccidere Dina Dore su mandato di Rocca.

Nel mezzo però, il 29 ottobre, l'agente scelto Antonello Cossu, che negli atti risulta riceve le rivelazioni del confidente, rivelerà importanti particolari sull'omicidio.

"Se l'anonimo si togliesse il cappuccio qui verrebbe fuori la verità - assicura il difensore - di quella verità non abbiamo paura, abbiamo paura degli incappucciati".

Quindi attacca l'agente Cossu: "l'anonimo e il confidente sono la stessa persona, ma in un processo penale chi ha ricevuto la confidenza è obbligato a rivelare il nome del confidente, altrimenti è di intralcio alle indagini".

La voce dell'avvocato Lai risuona forte nell'aula della Corte d'Assise di Nuoro quando parla dei diritti negati all'imputato per difendersi: "A Francesco Rocca non è stato consentito di interrogare in sede dibattimentale chi lo accusava. Non è stato neppure consentito in questo processo di accertare l'identità di Ignoto 1, il profilo genetico trovato sulla scena del crimine. Un numero adeguato di esami del dna avrebbe consentito di individuare con certezza il colpevole, lo dice il luminare Emiliano Giardina, perito nominato dalla famiglia Rocca. Ma non è stato fatto".

Il legale cerca poi di minare la credibilità del supertestimone. "La semplice dichiarazione di Stefano Lai non è sufficiente a pronunciare una sentenza di colpevolezza - sostiene l'avvocato - con il riscontro del padre Antonio che ha il solo interesse a dimostrare che il figlio non è coinvolto nell'omicidio". L'arringa del difensore proseguirà domani e nel pomeriggio sono previste le repliche, poi i giudici si ritireranno in camera di consiglio. La sentenza è attesa prima di Pasqua.