Il ponte Diana chiuso dall’Anas senza preavviso per problemi strutturali dall’ 8 giugno, portando grossi disagi agli abitanti delle frazioni di Oschiri e non solo, in quanto quella infrastruttura è un passaggio obbligatorio. Così i residenti, rimasti isolati, hanno sottoscritto una lettera aperta per riaprire la strada: “Vogliamo in questa lettera tralasciare il risvolto economico, territoriale, turistico e sociale che questa scelta scellerata comporta e di cui potremo scrivere per ore, per concentrarci in questo momento su quello umano” – scrivono gli abitanti -. Prosegue la lettera: - “Oschiri è un paese che vanta diverse frazioni abitate, molte proprio oltre il ponte. Natii e persone che sono arrivate nel tempo, che si sono innamorate di quello spaccato di territorio che custodiscono, nutrono e preservano e dove hanno deciso di costruire case, famiglie, aziende, affetti e valori”.

Le stesse persone che ora si trovano sole ad affrontare un problema che mai avrebbero pensato di vedere. “Siamo gli abitanti delle frazioni oltre il ponte, siamo molto di più di quanti si pensi, ma anche se fossimo solo uno oltre quel ponte cosa cambierebbe? Niente in un Stato Civile dove ognuno ha diritto a far sentire la sua voce. Ci è difficile parlare di civiltà, perché noi il metro della civiltà lo abbiamo perso. Lo abbiamo perso quando ci è stato negato il diritto di coltivare le nostre radici oltre il Ponte Diana, quando hanno deciso di mettere su una strada pericolosa le nostre vite e farle affidare al caso. Lo perdiamo in ogni anziano privato della sua quotidianità e delle sue abitudini, in ogni bambino che non può crescere dove i suoi genitori avevano sognato per lui, in ogni adulto che deve drasticamente cambiare la sua vita, non per propria scelta”. Lo abbiamo perso l’8 giugno 2022 quando la nostra comunità è stata privata dei servizi essenziali e non – si sfogano -. Perché nel 2022, come è incivile che un’ambulanza o un mezzo antincendio possano non arrivare in tempo, è incivile rendere difficoltoso a una persona, fosse anche solo una, di fare la spesa, pagare una bolletta, andare ad accudire un animale, andare a bere un caffè, far decidere ad altri dove passerà la sua vecchiaia”. 

“È incivile il silenzio delle Istituzioni, la confusione della burocrazia, l’indifferenza dei più – scrivono ancora -. È incivile e ridicolo di fronte a chi si riempie la bocca di diritti della persona, tutele ambientali, tutele delle minoranze. È incivile, sfiancante e profondamente sbagliato ritrovarci a rincorrere le istituzioni che dovrebbero essere al nostro fianco, vedere che è un continuo trovare il cavillo, la norma che ostacola, il problema tecnico, il parere di un ente, dell’altro e dell’altro ancora. Ogni ufficio da bravo scolaro fa il proprio compitino e lo fa pure bene, ma non è funzionale a trovare una soluzione. Serve solo a tutelare se stessi, a fare cadere colpe e responsabilità su altri. La magia nera della burocrazia che trionfa. Intanto da una parte e dall’altra del ponte uomini, donne e bambini cercano di capire quando, e se ,la propria vita ripartirà”. “C’è un dolore che non ha parole in ogni anziano che si sente isolato ora più del lockdown, in ogni figlio che spera di non arrivare mai troppo tardi – dicono -, in ogni padre che chiude una porta di casa per semplificare la vita ai suoi figli, in ogni sacrificio di vita e di lavoro che la chiusura di questo ponte ha vanificato. È incivile e non è dignitoso. C’è una storia a Santu Ninaldu, a Pianas, a Lu Signalatu, a Lu Pecurili, a Muros, a Carrajjiu, a Giagone, a L’Ampulla, a Balascia, a La Mizzana, a Buddittojjiu, alla Diga del lago Coghinas. C’è una storia che noi pensavamo solo di dover continuare a raccontare, invece è arrivato qualcuno a dirci che vuole cambiare il finale. C’è una storia che è quella della nostra vita e che noi oggi iniziamo a riscrivere contro chi, prepotentemente, vorrebbe farci andare a capo”.