Ci sono foto che parlano da sole, scatti che sono in grado di far trasparire la ricchezza di un momento, istantanee che ti arrivano dritte al cuore perché in grado di fermare il tempo all’apice di un sentimento.

E’ questo ciò che vedo e rivedo quando guardo le foto di Paolo Palumbo insieme al fratello Rosario. Due persone che stiamo conoscendo piano piano per la loro lotta contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta come SLA. Il plurale è d’obbligo perché la battaglia è comune: quella di un giovane, Paolo, di 21 anni, al quale è stata diagnosticata la mattina all’età di 17 (il più giovane malato di SLA d'Europa) e quello di un fratello, Rosario, che oggi è la luce sicura di un cammino insidioso e incerto.

In questi giorni una speranza, però, si è accesa. Lo chef, nato a Nuoro, ha vinto, infatti, la prima battaglia: essere ammesso all'estero al protocollo Brainstorm, una terapia sperimentale che può far regredire la SLA. Servono però 900mila euro per poter pagare la cura e il trasferimento in Israele. Una cifra sì grandissima, ma un obiettivo raggiungibile con l’aiuto di tutti noi. Per questo vogliamo farvi conoscere meglio Paolo attraverso gli occhi di chi lo conosce meglio.

 

-  Ci descrivi tuo fratello? 

“Paolo è un guerriero, ha un carattere forte ed è di indole più combattiva di me. E’ stato così fin da piccolo e questo lo ha aiutato con la malattia: se non fosse stato una roccia non so come l’avrebbe presa. Sognava di fare lo chef e di frequentare l’accademia di Gualtiero Marchesi, ma la SLA si è presentata pochi mesi prima che iniziasse a fare i test di ingresso.”

-  Ci descrivi la malattia di tuo fratello, come tu l’hai vissuta e come la stai vivendo?

“La SLA è una malattia che colpisce i muscoli: i 5 sensi funzionano perfettamente, ma non si può più muovere il corpo. Questo porta ad una serie di limiti come l’impossibilità di camminare, parlare, deglutire, il deterioramento della respirazione… Si diventa prigionieri del proprio corpo, e tutte le persone intorno diventano in un certo senso “prigioniere” di quel corpo perché chi è malato di SLA non va lasciato solo nemmeno per un secondo.

Dal giorno della diagnosi per me non c’è stato alcun dubbio: dovevo stare accanto al mio fratellino e diventare le sue braccia e le sue gambe. Non è un peso, non è una rinuncia, dopo tre anni posso dire che è stata la miglior scelta che potessi fare.”

- Come hai vissuto la decisione di tuo fratello di fare lo sciopero della fame?

“Paolo è un ragazzo intelligente e sa quello che fa. Il suo corpo lo rende un disabile, ma la sua mente è abile di pensare, di ragionare e soprattutto di prendere decisioni. Dire che sono fiero di essere le sue gambe e le sue braccia, e poi mettermi tra lui e le sue decisioni, sarebbe ipocrita. Motivo per cui quando ha deciso di fare lo sciopero della fame, sapevo ciò che avrebbe comportato, ma ho rispettato la scelta di mio fratello e la rispetto anche ora che lo ha interrotto.”

-   A chi vorresti parlare in particolare per spiegare la vostra situazione?

“I malati di SLA sono una piccola percentuale (anche se in aumento). Quindi vorrei rivolgermi alla maggioranza che non sa nulla di questa condizione terribile e dire: ricordatevi che nessuno ne è immune. Fino al giorno prima della diagnosi, non sapevamo nemmeno dell’esistenza della SLA, quindi ora che lo sappiamo bene vogliamo dire a tutti: investite sulla ricerca, informatevi, tutelate voi stessi ed i vostri cari, perché le malattie non guardano in faccia nessuno.”

- Ci descrivi una giornata di Paolo?

“La sua giornata è strettamente legata alla mia. Solitamente ci svegliamo tardi, verso le 12-13, perché le notti sono molto dure: si sveglia spesso, ci chiede di girargli la testa e sistemargli le gambe. Dopodiché fino alle 17 riceviamo la visita della fisioterapista e guardiamo qualche programma di cucina sull’Ipad. Verso le 17:30 spostiamo Paolo in salotto, sulla sua amata poltrona, dove può finalmente usare il comunicatore ottico e servirsi della voce robotica componendo le frasi con il puntatore ottico. Viene costantemente nutrito con i sali minerali ed aiutato dalla respirazione artificiale. Poi aspettiamo la sera ed andiamo a letto verso le 2 di notte.”

- Ora la speranza è in Israele?

“In Israele e negli Stati Uniti è stata messa a punto una terapia sperimentale di nome Brainstorm, che viene testata da 3 anni sui pazienti affetti da SLA. I suoi effetti sembrano essere molto positivi: si sono documentati miglioramenti nella deglutizione, nell’uso della parola e nei muscoli, piccole cose che per Paolo sarebbero miracolose. Il motivo per cui dovremmo recarci a Gerusalemme è dovuto alla durata inferiore del viaggio, che per gli stati uniti sarebbe di 12 ore, un tempo insostenibile per mio fratello.”

-  Quanti soldi servono e chi vi può aiutare?

“I soldi che servono sono tanti: 500.000 euro per acquistare la terapia e 400.000 euro circa per le degenze ospedaliere Israeliane e le spese satelliti (come l’aereo, il cibo, eccetera). Chi ci può aiutare? Chiunque voglia fare un gesto generoso per ridare una speranza ad un ragazzo che l’ha persa a 17 anni, quando la sua vita stava per cominciare.

- Paolo, mi rivolgo ora a te, c’è qualcosa che vuoi dire apertamente a tuo fratello? 

“E’ difficile parlare della sua nobiltà d’animo quando non si vivono personalmente certe situazioni. Rosario ha fatto e continua a fare così tanto da rendere impossibile un ringraziamento che equivalga alla sua dedizione per me. Ha reso belli i momenti difficili, mi ha tolto dalle insidie della solitudine, ha annullato tutti i suoi piani pur di prendersi cura del fratello minore. Sempre sorridente, sempre dolce, sempre attento, sempre fiero di esserci. Molti dicono che sia io l’eroe di questa storia, ma penso sia più giusto che sia lui ad essere considerato come tale.”

- Sei stato accettato per essere sottoposto alla sperimentazione in Israele del protocollo Brainstorm, come ti possono sostenere le persone e cosa vuoi dire a tutti noi?

“Il modo in cui le persone possono sostenermi è donando una piccola cifra simbolica a questa raccolta fondi che ho istituito due giorni fa. Quello che posso dire è che investendo anche solo su una persona, si investe su tutti i malati, perché se io riuscissi a comprovare la funzionalità della terapia, ci sarebbero dei passi avanti per renderla disponibile anche nel nostro paese. I costi sarebbero sempre molto alti, ma non ci sarebbero viaggi intercontinentali da fare, e questo sarebbe già un passo avanti.”

- Cosa vuol dire 'avere una speranza'?

“Vuol dire che se prima il futuro aveva un aspetto oscuro, ora ha un aspetto umano. Sono giovane, pensate che la SLA mi ha tolto tutto quando ero nel fiore degli anni: nell’età in cui i ragazzi fioriscono, io sono stato chiuso forzatamente in un sarcofago. Una terapia, seppur in fase sperimentale, significa che qualcuno sta cercando di far filtrare della luce in questo buio quotidiano. Quindi avere una speranza significa vedere la prospettiva di qualcosa di bello, e non qualcosa di prevedibile e negativo.”

La campagna di raccolta fondi è raggiungibile al linkhttps://www.gofundme.com/aiutiamo-paolo