PHOTO
Urla e bastoni, spranghe e sassate. Le notizie che arrivano da Sassari disegnano lo scenario desolante di una lotta fra bande in un paesaggio urbano fatto di anonimi casermoni e piazze di cemento. Latte Dolce e Santa Maria di Pisa, il Bronx, come lo chiamano con spocchia i giovani rampanti di Luna e Sole e Monte Bianchinu.
Sono i quartieri popolari di una città che, lontano dalle insegne luminose di via Roma e dalla movida di piazza Castello e via Asproni, sembra dimenticare tutto ciò che gli gravita attorno.
Nemmeno dieci minuti di auto separano l'Emiciclo Garibaldi, cuore del capoluogo turritano, da via Leoncavallo, teatro degli scontri. Eppure, i palazzoni decadenti, i cortili spogli, l'asfalto consumato dalle buche di questa contrada raccontano una città diversa. E con un bacino demografico di oltre 15 mila abitanti, Latte Dolce e Santa Maria di Pisa sembrano vivere davvero una realtà parallela. Nemmeno il ponte costituito da Sirio, la metropolitana di superficie che dal 2009 collega i quartieri con la stazione ferroviaria e il centro cittadino, ha cambiato la storia di questi palazzi.
Gli scontri e le tensioni delle scorse ore sono maturati in questo contesto di malessere sociale ed economico. E mentre sui social l'opinione pubblica si spacca, fra i portici di quei caseggiati si spaccia. Non è un luogo comune. Qui la criminalità c'è, esiste, e negli ultimi anni, più che mai, c'è stata una presa di coscienza importante che potrebbe essere terreno fertile per un cambio di rotta.
Il campo sportivo del Latte Dolce (Serie D) fa da confine fra questi due quartieri satellite nati fra gli anni '60 e '70. Ma lo sport, realtà importante da queste parti, non basta a sanare una situazione di degrado sotto gli occhi di tutti.
"Finché le istituzioni si presenteranno qui solo in tempi di campagna elettorale – denunciano gli abitanti – non cambierà nulla. Non basta".
E' la Chiesa, spesso, l'unica istituzione la cui presenza è tangibile sul territorio. Centinaia di famiglie si affidano alla Caritas che fornisce alimenti e alle parrocchie di Nostra Signora di Latte Dolce e Santa Maria Bambina che contribuiscono al pagamento di bombole e bollette.
I migranti sono ospiti del centro di accoglienza messo a disposizione dall'Istituto Pontificio per le Missioni Estere in via Luigi Solari, lungo la linea di frontiera che separa queste due microaree della città. E sulla facciata celeste dell'edificio di proprietà dell'istituto religioso, sono oggi ben visibili i segni dell'esplosione delle bombe carta lanciate dai sassaresi in protesta.
Difficile capire da dove sia arrivata la scintilla che ha generato l'esplosione di violenza. La benzina che ha alimentato il fuoco, di certo, è arrivata indirettamente anche da altre parti. I residenti dei quartieri popolari lamentano da decenni la tendenza delle istituzioni a non curarsi dei loro problemi, delle emergenze locali. Pochi i servizi, quasi inesistenti i presidi sanitari e della legalità che, quando ci sono, spesso vengono smantellati abbandonando alla propria sorte quelli che diventano sempre più quartieri ghetto.
E la domanda sorge spontanea. Era proprio necessario affiancare una realtà così complessa come il centro di accoglienza a un mondo già per propria natura problematico? Quella di destinare le strutture di via Solari a centro migranti è stata una scelta saggia e ponderata? Alla luce dei fatti recenti sarebbe facile rispondere che no, non lo è stata. Che questa strategia ha generato una polveriera sociale. Che un contenitore come quello, già saturo di fame e miseria, non era pronto ad accogliere ulteriori bisogni.
Troppo facile, alla luce dei fatti recenti. Eppure i fatti bisogna analizzare. Il malcontento generale, che dalle viscere di Sassari si diffonde a raggiera, investe in primis la politica. La classe dirigente locale sembra lontana dai cittadini, confusa, male organizzata, incapace di dare risposte. E mentre a Palazzo Ducale, da mesi, va in scena un imbarazzante festival degli assessorati che saltano, in periferia e nelle borgate i poveri fanno la guerra fra loro.