Gli uomini sulla terra trascorrono le loro vite incuranti dell’impatto che esse hanno sull’ambiente e con l’immaginaria convinzione che le risorse a loro disposizione siano inesauribili. Niente di più errato. La mancanza totale di lungimiranza sugli effetti che le nostre vite, sempre più dispendiose di energia, provocano all’ambiente rende l’esistenza umana manchevole di aderenza alla realtà e di capacità di previsione sulle condizioni che le future generazioni saranno costrette ad affrontare.

L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è il gruppo intergovernativo che studia i cambiamenti climatici del nostro pianeta. Il rapporto sul clima, su cui hanno lavorato 859 scienziati di tutto il mondo, presentato il 27 settembre 2013 e approvato dai 195 paesi membri, svela che il riscaldamento globale è causa “estremamente probabile” delle attività dell’uomo.

Gli effetti antropogenici vanno consolidandosi negli anni, l’azione dell’uomo quindi risulta sempre più evidente, intensiva e dannosa. I principali risultati dello studio svelano che ciò ha provocato il riscaldamento degli oceani, la fusione dei ghiacci, la riduzione della copertura nevosa e l’innalzamento del livello medio marino con effetti diretti su tutte le specie animali e vegetali.

Il periodo temporale dal 1983 al 2012 risulterebbe il più caldo negli ultimi 1.400 anni. Per quanto riguarda l’entità delle precipitazioni, nelle terre alle medie latitudini queste sono aumentate significativamente dal 1901 ma in particolare dal 1951. Inoltre si è potuto osservare che gli eventi estremi, in termini di meteorologici e climatici come le ondate di calore, le intense precipitazioni e il numero di giorni/notti calde, sono aumentati a livello globale.

L’oceano superficiale (0 – 700 m.) si è riscaldato particolarmente negli ultimi decenni, dal 1971 al 2010. I ghiacciai in Groenlandia e Antartide si sono ridotti in maniera più veloce negli ultimi due decenni. Il livello del mare è cresciuto di 0,19 m. dal 1901 al 2010, accelerando nel periodo 1993 – 2010 di 3,2 mm/anno contro l’1,7 mm/anno nel periodo 1901/2010. La concentrazione atmosferica di CO2 è aumentata di circa il 40% dal 1750 a causa della combustione fossile, della deforestazione e dalla produzione cementifera. Dal 1750 al 2011 sono 545 miliardi le tonnellate di carbonio di cui 240 accumulate nell’atmosfera, 155 rilasciate negli oceani provocando la loro acidificazione del 26% e 150 immesse negli ecosistemi naturali.

Lo stile di vita sconsiderato a cui ci siamo abituati presenta un conto sconvolgente. Il Worldwatch Institute rivela che si consuma troppo petrolio e si sacrificano troppi animali. La crescita constante della popolazione mondiale richiede un consumo di risorse eccessivo e non a lungo sostenibile. Solo nel 2011 sono stati bruciati 87,4 milioni di barili di petrolio al giorno e anche la domanda di legno segna un trend preoccupante, infatti tra il 2000 e il 2010 si è persa un’area verde di 520.000 km quadrati, pari alla superficie della Francia. Il consumo di carne è aumentato del 2,6% nel 2010 e si stima che nel 2050 saranno necessari 35 miliardi di polli per sfamare gli abitanti del pianeta. Questo richiederebbe un’agricoltura sempre più intensiva non compatibile con la progressiva desertificazione del suolo, tanto che ogni dieci anni sparisce un’area fertile grande quanto il Sud Africa. Si stima inoltre un’emergenza cibo nel 2050 provocata dall’incremento demografico, dal