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Ciò che abbiamo imparato in ormai due anni di emergenza pandemica è l’importanza di rispettare le preoccupazioni, i dubbi e i timori di chi vuole esercitare la libertà di scelta e decide di non sottoporsi al vaccino anti Covid 19. È questo il caso di Alessia Fois, 43 anni di Sant’Anna Arresi (SU) che, fin dalla prima comparsa del Virus più discusso degli ultimi tempi, si è posta mille domande sui modi in cui si è cercato di fronteggiare l’emergenza sanitaria e, ancora oggi, porta avanti in modo pacifico una protesta che, purtroppo, le è costata la perdita del lavoro.
“Desidero fortemente che il mio comportamento sia visto come un esempio di dissenso. Poiché ritengo che, se leggi dello Stato sono ingiuste, come diceva Sandro Pertini, non abbiamo solo il diritto di opporci in maniera pacifica , ma anche il dovere”.
Alessia ha confidato ai microfoni di Sardegna Live le ragioni delle sue convinzioni e ci ha spiegato le implicazioni sociologiche e psicologiche della pandemia.
Alessia non sei “no vax” e ci tieni a sottolinearlo….
“Decisamente no, la categorizzazione in “no-vax” o “si-vax” che si configura essenzialmente come una dicotomia e che prevede una scissione, una separazione che impone di attribuire un valore alle due categorie e in genere questo valore, in un sistema duale come quello che viviamo, è assunto come “buono/cattivo”, “giusto/sbagliato”, “altruista/egoista”. La “categorizzazione” se canalizzata e legittimata dai media, come accaduto in Italia, diventa una questione pericolosa. Si tende a legittimare, in questa maniera, un atteggiamento legato al giudizio nei confronti dell'altro, un sistema che porta all'odio sociale, ad una frattura societaria. Quindi a porre in evidenza e a suggerire tramite i media una posizione giusta da prendere e una posizione sbagliata dalla quale stare lontani. L'osservatore non si pone più nella condizione di osservare in maniera critica, ma accetta come verità assoluta ciò che viene dal mainstream. Tutto questo cela un rischio molto alto: affidare a terzi il proprio libero arbitrio. Non vedo perché una mia scelta personale e sanitaria mi debba necessariamente collocare in una categoria. Del resto potrei avere scelto di vaccinarmi diverse volte per altre patologie e questo non mi ha collocato in una categoria specifica. La “caratteristica” del collocare, categorizzare, stigmatizzare è tipica delle tecniche di manipolazione. Ogni persona ha il diritto di scegliere sulla base dei propri valori, ma anche degli apporti che la scienza conferisce, cosa è più utile per se stesso, senza essere penalizzato, né discriminato, né alienato o ricattato col lavoro soprattutto per una scelta che riguarda un trattamento sanitario. Diversamente si lede la dignità della persona. Nonostante questo paragone sia scomodo per molti e susciti sentimenti di rabbia, queste caratteristiche sono le stesse che hanno costituito la base delle dinamiche sociologiche e psicologiche dei regimi totalitari. L'analisi della storia e lo studio della filosofia ai giorni d'oggi sono utili a questo, a cogliere delle inferenze e a riconoscere i tratti distintivi ed infine a sottolineare le analogie di alcune dinamiche affinché i semi di certe situazioni non vengano mai più coltivati”.
In tanti potrebbero obiettare contro queste tue affermazioni e sostenere la responsabilità dei non vaccinati nell’ostacolare la fine della pandemia che, nonostante diversi spiragli di luce, continua comunque a preoccupare il mondo. Cosa pensi a riguardo?
Spesso mi hanno chiesto: “Ma non credi nella scienza?” (questo è l'ultimo mantra). La scienza non ha la necessità che noi crediamo in essa. Il metodo scientifico si basa sull'osservazione e sul confronto dei dati che emergono nel tempo mediante l'uso di esperimenti al fine di formulare ipotesi e teorie e si muove per prove ed errori. Non ho quindi necessità di “credere” nella Scienza perché è la Scienza stessa che si palesa ai nostri occhi nel tempo mediante i suoi dati, dati che talvolta confutano quelli precedenti. La scienza si fonda sul dubbio. Ciò in cui abbiamo necessità di credere è invece la religione, il dogma quindi ciò che non si può dimostrare, che viene dato per assoluto e non può essere confutato. In questo senso mi voglio collegare all'importantissimo ruolo ricoperto dalle informazioni del mainstream che ha visto la partecipazione di una sola “categoria” di informazioni. Solo i professionisti a favore dell'inoculazione mediante il siero a mRNA sono stati ospiti fissi delle trasmissioni televisive, quasi a volerci ricordare che l'unica via fosse appunto questa e basta. Il porsi delle domande o semplicemente mettere in discussione un farmaco ancora in fase di sperimentazione, non è stato “concesso” nei canali ufficiali. Non è stato possibile valutare altre strade alternative a quella dell'inoculazione del siero o semplicemente strade parallele come, ad esempio, il miglioramento del servizio sanitario nazionale, l'implementazione dei posti letto in terapia intensiva, o l'adeguamento delle risorse umane alla domanda emergenziale. La risposta alla tua domanda è: se la Scienza, quella del confronto di dati nel tempo, pone in evidenza che non esiste differenza tra vaccinati positivi e non vaccinati positivi nella trasmissione del contagio, ma soprattutto che anche i vaccinati possono infettarsi, allora quale è la logica alla base della categorizzazione del “no-vax pericoloso per gli altri”? Perché i media ufficiali non hanno dato spazio al confronto di quei dati emersi anche tra chi ha preso posizioni diverse? Sarebbe stato molto più utile portare nei salotti televisivi anche tutti gli scienziati, medici, biologi, etc che hanno preferito farsi sospendere in nome dei dati scientifici a loro disposizione e a favore, quindi, di una libertà di scelta. Gli stessi hanno sempre sottolineato che non si è mai trattato di una dicotomia tra “no vax” o “ si Vax”, ma tra “imposizione” e “libertà di scelta”o semplicemente tra “obbedienza al sistema” e “ dissenso”.
Quale poteva e doveva essere, secondo te, l'approccio a questa pandemia?
“Sicuramente un approccio multidimensionale che doveva tenere conto anche degli aspetti legati alla salute psicologica. Puntare sul terrorismo psicologico ha il vantaggio di riuscire, nel tempo, a gestire i comportamenti delle persone “terrorizzandole” con le “eventuali conseguenze”. Di contro questo atteggiamento, a lungo termine, consente ad un certo tipo di persone di riflettere su quelli che sono gli scopi di questo terrorismo psicologico mediatico. Se si voleva portare la stragrande maggioranza della popolazione all'autotutela con la vaccinazione si doveva dare la possibilità di libero arbitrio puntando sull'informazione di massa. Ricattare le persone togliendo loro la possibilità di lavorare è molto diverso.
Ti riferisci al green pass?
Esattamente, il green pass si configura come una clausola “sine qua non”, ovvero una tessera nella quale possono essere indicate le più svariate richieste da sottoporre come requisito ad un lavoratore se desidera lavorare. Ma in questo caso specifico, la richiesta è un trattamento sanitario, che non può essere esteso ad una massa poiché ogni individuo ha pro e contro soggettivi e, in questo momento, non calcolabili. Pertanto ritengo questa clausola un obbligo illegittimo che si configura come una vera e propria estorsione di un consenso col ricatto del lavoro. Cedere in maniera acritica e incondizionata il proprio libero arbitrio (con il green pass) alle decisioni assunte, celate in questo caso da un'emergenza sanitaria, sancisce un precedente molto pericoloso. La vita per le persone che hanno la tessera verde non è cambiata, essi continuano a poter esercitare un diritto inalienabile dietro la presentazione di una tessera. Ma per me e chi la pensa come me, il punto è che il diritto di scelta è inalienabile.
Hai parlato di salute psicologica, quali sono quindi le implicazioni psicologiche legate alla pandemia e al protrarsi delle restrizioni ad essa collegate? Restrizioni ora decisamente ridotte
Il procrastinarsi delle restrizioni e delle imposizioni ha generato e ancora sta generando una nuova onda d'urto:l'incremento delle psicopatologie e questo a molti di noi in ambito psicologico era chiaro sin dall'inizio. Tutti i dpcm, le restrizioni, la definizione di ciò che può essere fatto e quando, le limitazioni della vita privata, le prescrizioni sui comportamenti da adottare nella vita personale (no alla stretta di mano, no agli abbracci, no ai baci, mascherina al chiuso, mascherina all'aperto si o no, ) oggettivamente ci hanno abituato ad eseguire in maniera acritica delle prescrizioni allontanandoci da ciò che ognuno di noi vive come la soggettività nell'area privata e nelle scelte personali. Bisogna valutare quanto questo possa essere un precedente pericoloso, sia pur definito da una situazione emergenziale, poiché nessuna emergenza dovrebbe mai ledere i diritti umani. Nello specifico dal punto di vista psicologico la situazione emergenziale che è stata continuamente e costantemente propagandata dai media, ha alimentato nell'inconscio collettivo una paura che è poi sconfinata in una vera e propria psicosi collettiva. Sono aumentati i casi di soggetti affetti da patologie legate all'ansia, ai disturbi dell'umore. E le persone che già avevano un disturbo d'ansia si sono trovate imprigionate nelle maglie della paura, legittimata costantemente dai media. Con questo non è mia intenzione sminuire gli esiti di una patologia (in questo caso il Covid) ma semplicemente restituire dignità anche alle altre, ricordando che la paura alimenta solo gli stati di ansia e angoscia e non può che peggiorare una condizione clinica. Non si è dato spazio pertanto agli aspetti psicologici della pandemia o è stato fatto in maniera marginale, sottovalutando l'importanza della salute mentale. Come se la salute mentale fosse una salute di serie B. I bambini, per esempio, non potranno dimenticare questo trauma; la continua pressione della mascherina sul naso e sulla bocca forse li tutelerà dalla diffusione di un virus (forse) ma, impedirà loro di osservare l'espressione dei compagni e dell'insegnante. Impedendo il riconoscimento delle emozioni stiamo veicolando delle situazioni pericolose a livello psicologico. Stiamo bloccando l'espressione delle emozioni, le stiamo limitando. La scuola in questa maniera non è più un luogo di apprendimento veicolato dalle emozioni, ma diventa un “nozionificio”.
Come intendi comportarti per quanto riguarda il tuo lavoro?
“Mi reinventerò e darò spazio alla mia capacità creativa. Ma il non piegarmi ad un ricatto mi renderà ancora più fiera di me, soprattutto perché sarò un esempio per tutte quelle persone (sempre più numerose) che la pensano come me ma hanno paura. Il lavoro è importante, ma c'è una cosa che io ritengo più importante di tutto, ed è il mio sacrosanto diritto di scegliere cosa fare col mio corpo e la libertà di esprimermi. Non solo non mi vergogno di essere stata sospesa, ma ritengo sia giusto che io accetti questa situazione per poter fare in modo che si palesi a tutti ed emergano le contraddizioni. Soprattutto perché il green pass nasce con l'intento di ridurre i contagi e, ad un'analisi attenta dei dati, l'inserimento della tessera verde ha fallito palesemente, visto che ormai non si contano più i vaccinati infettati e quindi possibili cause di contagio, il green pass non protegge dal contagio. E in ogni caso si sarebbe potuto tutelare il lavoratore nella sua scelta dando la possibilità di lavorare online. La sospensione costituisce, comunque, atto illecito e abuso di professione. E onestamente ha più il sapore di un atto punitivo, coercitivo volto all'ottenimento dell'obbedienza cieca”. La mia impressione è che, sull'onda di un'emergenza sanitaria, si stiano cavalcando situazioni politiche per ottenere il controllo sociale di cui, molte persone, si sono accorte tempo fa e venivano chiamate “complottiste”. Per quanto mi riguarda continuerò a pormi delle domande, senza cedere alla cieca obbedienza di un sistema nel quale non mi ritrovo più nemmeno eticamente. Nel frattempo, ho incontrato il Covid, ma il punto è sempre lo stesso: può la mia condizione sanitaria essere un vincolo a tempo al lavoro? Non userò il green pass perché ritengo doveroso il mio contributo in questo senso”.