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Resolza al nord dell’Isola, lesorya nel nuorese e arresoya al sud, lo chiamano in maniera diversa a seconda della zona di Sardegna dalla quale proviene, ma il coltello sardo ha sempre lo stesso fascino e la stessa imponenza che parlano di storia e profumano di folclore. Il suo uso risale al Neolitico quando era prodotto in osso o in selce, una roccia sedimentaria composta da silice. In seguito, il ritrovamento dei nostri bronzetti nuragici guerrieri che stringono tra le mani pugnali simili a enormi coltelli, testimoniano chiaramente quanto l’arte della lavorazione delle armi da taglio, abbia ricoperto un ruolo importante nell’essenza stessa della nostra cultura.
Diventato necessario nel corso dei secoli, come sostiene l’antropologo-giornalista e scrittore bittese, Bachisio Bandinu, il coltello sardo è un "prolungamento della mano" dell’uomo di Sardegna. Non certo un’arma quindi, ma una sorta di “amico” capace di essere di supporto nella quotidianità. Non è raro, infatti, vedere ancora i nostri padri o i nostri nonni custodirlo gelosamente nello zaino o nel “tascapane”, magari tra i viveri per il pranzo fuori casa. Nelle campagne sarde, non c’è tavolo da picnic dove non faccia bella mostra di sé un’‘arresoya’ di corno di muflone, legno intagliato o altro materiale, invidia di turisti e collezionisti di tutto il mondo.
Per capire meglio questa antica e affascinante arte, così intimamente legata alle nostre tradizioni, Sardegna Live ha incontrato Sergio Frongia, collaboratore scolastico in pensione. Sposato e padre di due figli, ha fatto della passione per il coltello sardo un elemento imprescindibile della sua vita. Lo definiscono “l’evolutore del coltello” e dal 1982, quando si cimentò nella realizzazione della sua prima opera, è diventato uno dei più esperti conoscitori di questa antichissima arte. Riesce a combinare magistralmente l’uso di materiali preziosi, la passione e l'amore per la sua terra a una buona dose di estro stilistico e dare vita ad eleganti creazioni artigianali intrise di sardità.
Siamo a Narcao, un paese di 3.100 abitanti del Sud Sardegna e Sergio ci accompagna a visitare il suo laboratorio. “Grazie per aver dato spazio alla mia passione” ci dice invitandoci ad entrare a casa sua e nella stanza dove passa la maggior parte delle sue giornate.
Fin da subito siamo immersi un un’atmosfera quasi sospesa in un passato che ancora affascina.
“Costruire un coltello mi fa stare bene - dichiara indicando alcune sedie dove metterci comodi - dimentico tutti i problemi quotidiani. La mia più grande gioia - continua - è stata trasmettere questa passione ad un ragazzo che, ancora oggi, lotta contro una grave patologia e sentirmi dire la cosa più bella: ‘grazie Sergio perché mi hai aiutato ad affrontare il dolore in modo diverso, la mia mente occupata a realizzare coltelli non si è più arenata sul pensiero della malattia’.
Sergio è anche amministratore di una pagina Facebook con più di 8.000 iscritti, diventata punto di riferimento per tutti coloro che amano cimentarsi nella realizzazione del coltello sardo. E a questi, l’artigiano narcarese garantisce di tramandare l’arte della coltelleria di Sardegna con l’utilizzo di materiali inusuali e d’avanguardia, il rispetto della tradizione e l’instancabile ricerca del bello.
“Io vengo da un passato artistico - spiega - ho lavorato il legno, l’argilla, mi sono dedicato alla pittura e al modellismo. Sono arrivato a realizzare il mio primo coltello nel 1982 quando, lungo un sentiero di montagna, insieme ad un amico ci siamo imbattuti in un corno di capra abbandonato alla vegetazione. Lui mi disse: ’prendilo, da questo fanno i coltelli’. Il giorno dopo, con curiosità, mi cimentai per la prima volta in questa arte e fu subito amore (ride). Poi, in occasione di una festa di paese a Nuxis, feci la mia prima mostra e ottenni un discreto successo”. Da allora ho partecipato a molte altre mostre a tema solo per assecondare la mia passione e l’amore per questo prezioso oggetto”.
“La voglia di creare è cresciuta giorno dopo giorno - ci racconta Sergio indicando con fierezza la vasta gamma di lame, attrezzi e materiali di ogni genere presenti nella sua stanza da lavoro - sono andato più volte a Pattada per capire la lavorazione del coltello pattadese, loro sono bravissimi maestri, mi sono confrontato con collezionisti ed esperti che hanno arricchito sempre di più le mie creazioni - rivela - complice anche il fatto che il coltello sardo nei primi anni ’90 era diventato quasi uno status symbol, un orgoglio da mostrare agli amici al bar. Aveva sostituito quasi del tutto i souvenir della Sardegna; i turisti e gli stessi emigrati che tornavano nell’Isola, desideravano averlo in quanto legato profondamente alla terra sarda”.
“In Sardegna ci sono diverse tipologie di coltelli - chiarisce - praticamente ogni paese ne ha uno tipico, la “pattadese” è uno dei più conosciuti e caratteristici. Alcuni sono realizzati con corno di ariete o montone, altri con corno di muflone”. Mentre si alza dalla seduta, sorridendo ci mostra uno dei primi coltelli sardi del quale è orgogliosissimo: “Questo risale a più di 250 anni fa. Lo trovai nei pressi di un vecchio “medau” abbandonato mentre cercavo lumache. I collezionisti lo riconobbero come “sa corrina”, semplicemente un manico di corno di capra con una lama”. Questi coltelli erano protetti da custodie di sughero, pelle o cuoio. Naturalmente da allora, la continua evoluzione di questa arte, ha permesso le trasformazioni di coltelli rustici e semplici come “sa corrina” in oggetti moderni e raffinati, famosi in tutto il mondo”.
“Mi definiscono “l’evolutore di alcuni tipi di coltello sardo”.
Ed è proprio l’essere all’avanguardia il punto forte delle opere di Sergio.
“Ho avuto l’idea di perfezionare una tecnica legata al coltello tipico della Sardegna: la pattadese, che abbiamo appena menzionato. Il coltello in generale è realizzato ‘a frizione’ quindi si apre e si chiude, ma sono riuscito a munirlo di una sicura che impedisce allo stesso di chiudersi completamente fino a quando non si aziona una levetta, una sorta di meccanismo di sicurezza. Una tecnica che ho messo a disposizione degli appassionati e cultori dell’arte. Insomma, mi piace cercare di infondere alla mia creazione qualcosa di unico: le lavorazioni dorsali per esempio, l’inclusione di materiali inusuali come titanio, fibra di carbonio o madreperla. Mi sono cimentato anche nella forgiatura del damasco. Ma sono convinto che il coltello debba avere un’anima - prosegue - la sua lavorazione è relativamente semplice, tuttavia richiede sempre ingegno e conoscenze approfondite. Certo, è necessario rispettare alcuni canoni, tuttavia la creatività e la personalità del maestro prendono sempre il sopravvento. Ogni coltello sardo deve essere un pezzo unico e, ripeto, non deve mai essere privo di anima.”
La creatività e la personalità, giocoforza, devono essere fondamentali in ogni forma d’arte e Sergio ha dimostrato di avere queste doti anche con l’ideazione della “Narcao”, un coltello dedicato al suo paese. Munito di meccanismo di sicurezza, realizzato con il manico in corno di muflone, inclusioni di corallo e lama in titanio è stato battezzato “narcarese” dagli esperti nel 2015. Un modello elegante e raffinato del quale va molto fiero: “È un coltello dall’eleganza sobria e raffinata. E, credo di essere riuscito ad infondergli l’anima”.
Ci congediamo da questo interessante incontro e ringraziamo Sergio perché per tutto il tempo dell’intervista, comodi nel suo laboratorio, abbiamo assaporato la magica atmosfera antica di una delle tante tradizioni più affascinanti della nostra terra.