PHOTO
Scomparso il 23 gennaio 2007, negli ultimi 30 anni, oltre che a scrivere poesie, saggi e romanzi, soprattutto in lingua sarda, è impegnato nella sua attività di militante e combattente per il Bilinguismo.
Iniziò la sua battaglia quando su Comitadu pro sa limba (ne facevano parte fra gli altri Giovanni Lilliu, Eliseo Spiga, Antonello Satta, Elisa Spanu Nivola) elaborò la proposta di legge sottoscritta con firme autenticate, da 13,650 elettori sardi. Fu Masala stesso, come Presidente di quel Comitato a presentare la proposta il 17 giugno del 1978 al presidente del Consiglio regionale.
Da allora lo scrittore dei Sardi “Vinti ma non convinti”, sarà sempre più impegnato sul fronte della difesa e della valorizzazione della lingua sarda e dunque della necessità di introdurre nell’Isola il Bilinguismo perfetto, con la parificazione giuridica e pratica del Sardo con l’Italiano, ad iniziare dall’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado della lingua sarda nell’insegnamento e dunque nei curricula scolastici.
Masala è stato un intellettuale dissacratore e impertinente, che sostenuto da una forte e calda tensione, culturale, ideologica e morale, denunciava, criticava, attaccava. Sempre.
La sua concezione politica, culturale ed etica, per così dire la sua visione del mondo è interamente espressa e rappresentata nelle sue opere: nei suoi romanzi come nelle sue poesie e nei suoi saggi.
È dentro Quelli dalle labbra bianche: in quei poveri, affamati, denutriti e anemici, che non portavano le labbra coralline ma bianche appunto, perché hanno sempre mangiato il prodotto di piante frumentacee e poca carne e pesce, destinati ai piatti dei ricchi.
Dentro quei nove sardi caduti nella steppa russa: in guerra. Sardi – scrive Masala – cattivi banditi in tempo di pace, ma eroi buoni in tempo di guerra: in guerre nelle patrie trincee, in pace nelle patrie galere.
È nei saggi di Riso sardonico, in cui afferma apoditticamente che “La storia di necessità è storia dei vincitori, i vinti non hanno storia…gli storici insomma scrivono la storia con la complicità degli archivi (sos papiros) lasciati dai vincitori: i vinti non possono lasciare mai nulla negli archivi”.
E’ in S’Istoria (Condaghe in limba sarda, come sottotitolo) nel quale Masala riprende e amplia nel tempo la vicenda di un paese simbolo della Sardegna, Biddafraigada. E’ in Sa limba est s’istoria de su mundu, storia di un villaggio malefadadu di contadini e pastori.
E’ nelle sue poesie: in Littera de sa muzere de s’emigradu, in cui la moglie dell’emigrato rivolgendosi al marito: Prenda mia istimàda,/cando torras,/si mai has a torrare,/no mi pèdas ue est s'aneddu 'e oro:est diventadu pane a fizu tou, gli annuncia.
E’ in s’Innu nou contra a sos feudatarios il cui incipt fulminante è : Trabagliade, trabagliade/poveros de sas biddas/pro mantenner in zitade/tantos caddos de istalla/issos regollin su ranu/e a bois lassan sa palla.
E’ soprattutto nel romanzo Il dio petrolio, ambientato a Sarroch, città simbolo dell’industria petrolchimica (de s’ozu de pedra), che secondo Masala avvelenerà e devasterà alcuni fra gli angoli più suggestivi della Sardegna, sconvolgendo anche a livello antropologico le popolazioni.
Da questo romanzo viene fuori la sua “visione” complessiva della storia e dello sviluppo della Sardegna. Ed anche il Masala “poeta sociale”.
Masala afferma che il suo affascinante e avvincente romanzo è una storia d’amore, il diario di un parroco. Certo è questo. Ma anche altro.
C’è infatti Don Adamo, che diventa dopo il suo trasferimento da Arasolè a Sarroch, inquinato, sradicato, alienato, espropriato di sé stesso, disgregato in mezzo agli altri e a loro estraneo. Solo e solitario. Con le sue turbe sessuali, i soliloqui assurdi, gli onanismi cerebrali.
Ma la sua storia non è solo storia personale: si allarga a metafora di una condizione storica generale, la condizione storica dei Sardi, inquinati e sconvolti etnicamente, eticamente e religiosamente dallo scasso antropologico provocato dalla industrializzazione monoculturale esterna, selvaggia ed ostile.