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È lontanissima Aritzo. Così lontana che a saperlo da prima, magari, nemmeno ci andresti. Se arrivi da Nuoro devi arrampicarti al Gennargentu, aggrappandoti a Fonni attraverso stradine che tagliano paesaggi brulli dove il gelo e il freddo di gennaio ammazzano le piante. Se arrivi da Cagliari devi mangiare mezza Sardegna costeggiando decine di paesini che puntellano il Campidano fino ad arrivare ancora lassù, fra i tetti dell’isola.
Si presenta allo sguardo d’improvviso, le sue case di scisto abbracciate da boschi di castagni e nocciòli dai cui frutti, gli abitanti, hanno saputo ricavare guadagno. Vicoletti e umili case antiche affiancate a storiche costruzioni di pregio come il Castello Arangino e le prigioni spagnole. Sembra un dipinto, Aritzo. Semplice e addormentata al sole sembra un dipinto. Sembra Paesaggio di Bagheria di Renato Guttuso, o Il villaggio della lavanda di Fabien Novarino.
Qui la vita scorre più lenta e per tanti le ore sono ancora scandite dai ritmi di lavoro nei campi. Da qui il mare più bello e famoso del mondo non si vede, se si chiudono gli occhi e si respira forte, in primavera, forse, se ne sente l’odore, ma non si vede. Tutto quello che si ha da queste parti è la terra da rispettare, da lavorare e da amare perché è da essa che si è sempre vissuto.
In questa terra di terra arroccata fra i monti dove il gelo d’inverno brucia le piante, il sole d’estate secca la bocca. Così l’uomo ha aguzzato l’ingegno: acqua e zucchero, e succo di limone, ingredienti di una prelibatezza genuina e figlia della montagna che affonda le sue radici nella storia a partire dai primi anni del 1600. Il termine “carapigna” ha qualcosa di ispanico, potrebbe indicare un affilato coltello di Toledo o un particolare copricapo di Cordova, invece no. La carapigna è una crema ghiacciata e ideale per le torride giornate d’agosto. Una punta dolce per ristorare il corpo, una punta aspra per rinfrescare l’anima.