Durante la sua permanenza nei campi di concentramento nazisti, ha dovuto ricorrere a mangiare bucce di patate per sopravvivere. Questo è un dettaglio che amava condividere con i suoi figli, soprattutto quando sentiva lamentarsi qualcuno per la fame. Salvatore Muscas, originario di Sant'Avendrace a Cagliari e arruolato nella Marina militare italiana, si ritrovò improvvisamente nemico di Hitler e Mussolini dopo l'8 settembre.

Nel 1943, insieme agli altri uomini del suo reparto, fu catturato dai tedeschi a Portoferraio e trascorse due anni come prigioniero in tre diversi campi di concentramento tra Germania e Lituania. Dopo essere riuscito a tornare, Muscas ricostruì la sua vita, lavorando e fondando una famiglia composta da moglie e tre figli. A distanza di 33 anni dalla sua scomparsa, il suo periodo di prigionia e sofferenza è stato commemorato a Cagliari nel Giorno della Memoria. Durante la cerimonia, presieduta dal prefetto Giuseppe Cataldo, i figli Antonella e Sergio hanno ricevuto la medaglia d'onore conferita loro dal presidente Mattarella. Sebbene evitasse di parlare dei due anni terribili vissuti, Muscas raccontava spesso ai familiari delle privazioni e della fame estrema che aveva dovuto affrontare quotidianamente durante la prigionia. Una frase in cagliaritano che il figlio ricorda ancora a memoria."La fame? Era quella del campo di concentramento: lì mangiavo la buccia delle patate".

Mentre i ricordi si affollano nella mente, emerge vivido l'animo di Salvatore, abile nell'apprendere rapidamente i segreti della sopravvivenza. "Si era fatto cresimare due volte in due diversi campi di concentramento", raccontano i figli.Un'opzione, se fattibile, per addolcire i tedeschi e mantenere una posizione di favore, era svolgere mansioni come pelare le patate in cucina. Non si sprecava nulla, ma si creavano legami importanti, come quello con il cuoco. Questo legame era essenziale in un contesto in cui la resistenza richiedeva un sostegno emotivo costante.

Dopo aver visitato Cracovia, il nipote di Salvatore si è impegnato in una ricerca per ricostruire i nomi dei prigionieri e i luoghi in cui suo zio ha sofferto durante la prigionia: due campi di concentramento in Germania e uno in Lituania. Al suo ritorno in Sardegna, ha lavorato alla Semoleria di viale La Playa fino al 1959. È stato licenziato dopo essersi unito a uno sciopero, poiché la famiglia spiega che anche sul posto di lavoro ha continuato a battersi per le proprie convinzioni.

Ora il riconoscimento e la medaglia d'oro. "Meglio tardi che mai, sarebbe stato molto contento di ricevere questa onorificenza in vita", commentano i figli. Nel consegnare l'onorificenza, il prefetto Castaldo ha parlato di "un momento di grande emozione". "Ricordiamo uno degli eventi più tragici e terribili della nostra storia - ha sottolineato - Questa deve essere una giornata di impegno da parte di tutti, dalle istituzioni ai cittadini. Dobbiamo impegnarci affinché tutto questo non accada mai più. Vogliamo diffondere la cultura della memoria soprattutto tra i giovani che sono il nostro futuro".