La sera del 7 luglio 1933, una Fiat 509 con cinque passeggeri a bordo stava facendo rientro in Goceano dai festeggiamenti in onore di San Costantino a Sedilo, uno degli appuntamenti più sentiti e attesi dai fedeli dell’intera Sardegna.

A bordo della vettura, fra gli altri, Pietrino Molotzu, podestà di Bono, e sua moglie Maria Carta, che avevano accompagnato presso il santuario dedicato a Santu Antine la loro figlia Maria per sciogliere un voto espresso l’anno precedente. La bimba, infatti, era sopravvissuta a un brutto incidente: un calderone d’acqua bollente le era caduto addosso bruciandola gravemente.

IL SEQUESTRO

Mentre l’auto attraversava le strade in località Giuncarzu, fra Bono e Illorai, cinque banditi, evidentemente in attesa del loro passaggio, aprirono il fuoco puntando i fucili contro l’auto del podestà che venne colpita di striscio.

La banda, guidata dai fratelli Pintore e Antonio Congiu, era una delle più temute di quegli anni in Sardegna e agì rapidamente prelevando i passeggeri e trascinandoli in aperta campagna. La comitiva venne derubata di denaro e oggetti di valore e, dopo una discussione fra i componenti del commando, arrivò la decisione più tragica: sequestrare Maria Molotzu. Venne strappata alla madre con la promessa di portarla dal papà, che era stato nel frattempo allontanato da uno dei banditi, ma era un inganno.

LE INDAGINI

Pietrino Molotzu raggiunse rapidamente la vicina caserma dei carabinieri per dare l’allarme. Le indagini partirono a rilento e non fu facile capire che strada seguire. Inizialmente si ipotizzò persino un movente politico, dato l’incarico rivestito dal padre della bimba, podestà di Bono (più alta carica comunale) e segretario locale del Partito nazionale fascista. Ben presto, i sequestratori chiarirono le loro intenzioni chiedendo alla famiglia un riscatto di 150mila lire in monete d’argento.

Il riscatto, nonostante la collaborazione di alcuni emissari e la riduzione delle pretese a 30mila lire, non venne mai pagato. Ben presto, infatti, a Bono si iniziò a mormorare che Maria Molotzu fosse morta quasi subito, forse uccisa dai rapitori per paura di essere scoperti.

L’EPILOGO

Nel febbraio 1934 Antonio Congiu morì in uno scontro a fuoco con i carabinieri. A settembre perse la vita in circostanze analoghe Giovanni Pintore, uno dei due fratelli a capo della banda dei presunti rapitori. Poco più tardi Antonio Pintore, il secondo fratello, venne catturato e condannato a morte. Fu proprio quest’ultimo, prima di essere giustiziato nel 1936 a Pratosardo, a indicare agli investigatori il luogo dove il corpicino di Maria era stato occultato, dietro un muretto a secco vicino a Ollolai. Sulle tempistiche e le cause della morte della piccola non venne mai fatta chiarezza.