“Qualcuno dice che quando si chiude un teatro in cielo cade una stella. Qua a Cagliari quando scompare un teatro i palazzinari fanno festa e le betoniere iniziano a mescolare cemento. D’altronde in questa città le distanze non si misurano in chilometri ma in metri cubi. Stiamo raccontando l’ennesima storia di un teatro, ma anche cinema, come tanti altri in città, che scompare”.

 Il regista sardo, Enrico Pau lo dice schiettamente, parlando sui social dell'Alfieri, una perla di cultura che scompare per sempre a colpi di ruspa: "All’Alfieri ho vissuto diverse stagioni della mia vita, quella di giovane attore pieno di speranze ma destinato a qualche delusione, e più tardi - scrive Pau - quella felice di cronista teatrale della Nuova Sardegna. Un pezzo della mia vita è trascorso dentro quel teatro che si è incrociato con la vita di tanti compagni di strada: attori, tecnici, registi, maschere, cassieri, organizzatori. Gente che ho incontrato per anni, almeno una volta alla settimana nelle lunghe stagioni teatrali di cui sono stato testimone. Dentro quel vuoto, che non è solo fisico, dentro il quale sorgerà l’ennesimo palazzone, ci sono le storie di migliaia di persone che hanno fatto dell’arte la loro vita, che hanno sognato un futuro di lavoro con la cultura, che hanno immaginato scene, costumi, dato forma a dialoghi a movimenti degli attori, a tagli di luce, a spettacoli memorabili, ad altri dimenticabili. Ci sono le immagini dei film che sono rimaste impresse sull’enorme schermo bianco ormai strappato, i primi piani dei divi del cinema italiano che hanno accarezzato l’immaginario di generazioni di spettatori. E per noi spettatori il ricordo delle opere pittoriche di Dino Fantini che circondavano la platea e che rimandavano alla Commedia dell’Arte dando all’Alfieri quell’aria di un luogo fuori dal tempo, eterno. Ma l’eternità non esiste quando a predominare non è il bene comune ma quello dei singoli, il guadagno. La storia di questi giorni è la solita di sempre: il patrimonio culturale di una città soccombe davanti agli interessi di pochi. A Cagliari - sottolinea sempre Enrico Pau - è già successo troppe volte in passato con il Quattro Fontane, l’Olimpya, il Nuovocine, il Nuovo Odeon, con il Fiamma, l’Ariston e l’Arena Giardino, un elenco doloroso per chi ha avuto la fortuna di vivere la sua formazione di spettatore dentro quei luoghi pieni di storia. Rimane solo il rimpianto quindi, non c’è più neanche la voglia di combattere per difendere la bellezza architettonica del passato, i cittadini, quelli più sensibili, sono soli davanti a regole urbanistiche fatte ad arte per favorire meccanismi che prevalgono dal dopoguerra, quando la città fu ricostruita dopo i bombardamenti nel modo caotico e tentacolare con cui è cresciuta. Si andrà avanti così, qualcuno la chiama modernità altri, come Giorgio Todde lo definiscono sviluppismo, la tendenza cioè a trasformare tutto, a modernizzare, a cancellare. Dell’Alfieri ricordo nel 1982 il giorno di una replica di “Questa sera si recita a soggetto” di Pirandello regia di Marco Parodi, ero emozionato perché avevo invitato i miei nonni che non mi avevano mai visto recitare. Gli attori in quello spettacolo arrivavano dalla platea e mentre mi avvicinavo al palco sentii qualcuno che mi acchiappava con una presa di ferro per la giacca non lasciandomi andare verso il palco. Mi girai di scatto, era mio nonno che rideva come un matto, rideva e non mollava la giacca, rideva in silenzio, con mia nonna affianco che lo guardava preoccupata. Quella stretta, forte e decisa, era un gesto d’affetto, un momento che conservo dentro di me e che oggi a vedere le immagini di quel vuoto dentro il quale sorgeva un tempo - conclude il regista Pau - un teatro mi è tornata in mente dolcemente".