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"I napoletani sono il popolo più triste del mondo e i vomeresi, come me e Sorrentino, i più tristi di tutti. Siamo un po' in un bozzolo, persone che fanno fatica ad esprimere i sentimenti, ma farmi interpretare il professore di antropologia Marotta in Parthenope è stato davvero un gran bel regalo". Sono le parole dell'attore Silvio Orlando al Filming Sardegna Festival, mentre racconta la sua partecipazione al film di Sorrentino in concorso al Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 24 ottobre.
"Tra le varie anime possibili di Napoli, in Parthenope c'è quella colta e erudita. Io e Paolo siamo uguali, a parte la genialità" dice, spiegando poi quale sia il suo 'effetto speciale' nella recitazione : "Mi metto sempre al servizio della storia e poi trovo una mia misura. La mia storia attoriale è stata sempre quella di partire da me, da come sono fatto, dalla mia vita e questa attitudine ha forse potenziato l'aspetto umano dei miei personaggi che è un po' la mia cifra, il mio 'effetto speciale'. Il fatto è che quelli della mia generazione si sentivano importanti come esseri umani aldilà del fatto di essere attori. Noi pensavamo di essere 'soggetti politici' e il nostro stesso privato diventava così importante anche per la sorte dell'umanità. Ci sentivamo preziosi. Per gli attori di oggi è diverso, hanno un atteggiamento più timido, sono straordinari, forse molto più bravi di noi ma non si sentono utili per le sorti del mondo".
A proposito di #MeToo e del cinema del passato dice poi con coraggio Silvio Orlando: "Anche io ho avuto degli sbandamenti sessuo-maniaci. Il cinema allora era d'altronde molto sessuo-maniaco. Per fortuna il #MeToo ha migliorato la qualità del nostro lavoro, i set sono ora luoghi più vivibili, più tranquilli e ci sono poi molte più donne impegnate nella produzione. Sappiamo bene invece com'era il cinema degli anni Settanta, le donne allora erano prede, selvaggina, merce. Era una cosa questa più sottile di ogni violenza fisica, era una legge non scritta, impalpabile: una donna che non stava al gioco diventava un elemento di disturbo nella macchina maschile".