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In sepia, a student's view towards the front of a 110 year old one room rural school. Restored
Chi è stato bambino negli anni ’50 e ’60 ricorderà bene le dolorose bacchettate sulle mani da parte dei maestri, così come l’inginocchiarsi sui ceci o lo stare in piedi dietro la lavagna o con il volto rivolto al muro in un angolo dell’aula.
Ma anche sculacciate e addirittura ceffoni in classe erano considerati normali ed educativi. Se oggi tutto ciò ci fa letteralmente accapponare la pelle, fino a pochi decenni fa certi avvenimenti erano all’ordine del giorno.
Le punizioni corporali a scuola per essere stati indisciplinati o aver fatto un errore ortografico o di calcolo, o per non aver studiato, o anche per aver chiacchierato troppo, oggi assolutamente e fortunatamente vietate per legge, erano diverse e tra gli adulti che le hanno subite, c’è chi le ricorda con ribrezzo ma anche chi ci scherza su. Addirittura qualcuno afferma che si è cresciuti “sani e forti” ugualmente e che la severità di allora abbia forgiato i caratteri, contrariamente all’"eccessiva permissività" di oggi nei confronti dei bimbi.
Se infatti oggi agli insegnanti è quasi proibito riprendere un alunno perché molti genitori insorgerebbero come durante la rivoluzione francese, e ci sono diversi episodi di cronaca che lo dimostrano, in passato una punizione corporale poteva davvero traumatizzare un bambino. Si è passati da un estremo all’altro? Ne parliamo con tre arzilli nonni che sono stati bacchettati diverse volte da piccoli.
“Ricordo che una volta andai a scuola con un paio di orecchini nuovi, erano un regalo di compleanno e li volevo sfoggiare, come facevano e fanno tutte le bambine – racconta a Sardegna Live Anna – La lezione non era ancora cominciata e li stavo facendo vedere alla mia compagna di banco. La maestra mi fulminò con lo sguardo, si avvicinò al mio banco con passo deciso e me li tolse con forza, tanto che se ne ruppe uno” ricorda con un velo di tristezza la nonnina.
“Li mise dentro il cassetto della cattedra e me li appoggiò sul banco alla fine della lezione, senza dire nulla – prosegue Anna – a casa fui sgridata anche da mia mamma perché tornai con l’orecchino rotto e anche lei mi accusò di essermi distratta e aver distratto la mia compagna. Difendermi? Non se ne parlava. La maestra aveva sempre ragione e se aveva fatto una cosa, vuol dire che c’erano stati i motivi. Ci sono rimasta male, ma dopo qualche settimana già non ci pensai più. Adesso? I bambini sono viziati, è vero, ma io sono la prima che vizia la mia nipotina!” conclude sorridendo.
“Se ci penso, mi sembra di sentire ancora il dolore sulle nocche pestate dalla bacchetta – racconta Franco – a scuola mi impegnavo perché i miei genitori erano severissimi, ma avevo bisogno di più tempo di quello che il maestro ci concedeva, per fare i calcoli. Puntualmente tornavo a casa con le mani rosse e gonfie dopo tutte le lezioni di matematica. A casa erano dolori perché significava trascorrere almeno 2 ore con mio padre, ragioniere, facendo esercizi tra le urla sue e le lacrime mie. Se è servito? Sicuramente, facendo di testa mia, avrei dedicato più tempo a giocare che alla scuola, ma in matematica ho continuato a essere scarso anche negli anni successivi” conclude sorridendo Franco.
“Spesso noi bambini indossavamo i pantaloncini corti sotto il grembiule, immaginate i dolori alle ginocchia quando ci facevano inginocchiare sui ceci – racconta invece Livio – da bambino ero abbastanza vivace e venivo punito spesso: puntualmente avevo le ginocchia rosse e dolenti. I ceci li ho odiati per anni, pensa che li ho mangiati solo dopo i 50 anni perché mi facevano tornare in mente i tempi delle elementari! Se mi è servito? Sicuramente mi ha disciplinato, oggi vedo tanti bambini maleducati che neanche i propri genitori sgridano. Forse prima c’era più rispetto, non so se le punizioni corporali fossero il motivo, certo è che ora c’è il problema opposto! Molta maleducazione è diffusa anche tra i ragazzi, si sente spesso al telegiornale o si legge sui quotidiani di insegnanti accusati dai genitori anche per brutti voti, Ma scherziamo?” conclude Livio.