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Il periodo storico compreso tra il 1958 e il 1963 fu per l’Italia un momento di cambiamenti economici e sociali senza pari. In pochi anni il Paese, uscito distrutto dalla seconda guerra mondiale, si trasformò in una tra le maggiori potenze industriali del pianeta.
Gli italiani, soprattutto nelle città, sperimentarono grandi cambiamenti nel loro stile di vita e nei loro consumi: i centri urbani modificarono il loro aspetto, trasformandosi in affollate metropoli e anche il sistema delle comunicazioni e dei trasporti venne rivoluzionato.
Un Paese, il nostro, legato fino ad allora a una cultura contadina e all’agricoltura, che d'improvviso si vide catapultato nella modernità industriale, in un processo che per intensità e rapidità prese il nome di 'Miracolo economico'.
Ma proprio la velocità con cui questa rivoluzione prese forma generò anche un grande disequilibrio tra Nord e Sud, ma soprattutto tra città e piccoli borghi. Cominciò a verificarsi il fenomeno dello spopolamento delle campagne e della crescita dei grandi centri, dell’aumento dei fenomeni di speculazione e il prodursi, più generale, di numerosi squilibri di carattere sociale.
'L'età dell’oro' dell’economia italiana conteneva in sé i semi di una crisi che non tardò a manifestarsi, tra gli anni '60 e '70.
Povertà, disperazione, divario sociale, ma anche solidarietà, amore, empatia: la vita, nell'Alta Marmilla, non è stata facile in quegli anni. "Cagliari sembrava un altro mondo, rispetto ai Comuni dell'entroterra oristanese. Lì auto, qui carri; lì abiti alla moda, qui vestiti arrangiati; lì cibo, lavoro nuovi e ricchezza, qui carenze alimentari, una cultura ancora legata alla terra e all'allevamento e molta, troppa povertà".
Ce lo racconta Maria (nome di fantasia), classe 1953. Lei, il 'boom economico' l'ha visto, ma da lontano.
"Noi stavamo bene, rispetto a tanti altri compaesani. Avevamo da mangiare, avevamo da vestire, potevamo studiare. Ma la maggior parte delle persone a quel tempo dovevano pensare a come sopravvivere".
"Ricordo che mia madre, donna di gran cuore, cucinava sempre delle pagnotte in più, perché ogni mattina, dopo che mio padre si recava nei campi per lavorare, davanti al portone di casa si formava una lunga fila di persone che chiedevano un misero pezzo di pane. Non avevano neanche quello".
Maria spiega che suo padre non era d'accordo con tutto quel donare ai meno fortunati, perché "non potevamo permetterci di sfamare decine di altre persone", perciò sua madre si prodigava in fretta e di nascosto quando lui era impegnato. "Era però un uomo di gran cuore, ovviamente si accorgeva delle mancanze di grano, ma faceva finta di niente. Era come un tacito, dolce accordo tra di loro".
I bambini spesso non potevano permettersi di "perdere tempo" sui libri, servivano braccia per l'agricoltura. Così, mentre nel capoluogo sardo si cominciava a parlare di rivoluzione femminista, di diritti dei lavoratori, di grandi riforme sociali, in una realtà che sembra quasi parallela, i pochi che continuavano a perseguire un'istruzione quanto meno di base dovevano farlo il più delle volte a costo di grandi rinunce. "Quando frequentavo le elementari ricordo diversi, troppi compagni di classe non solo senza libri e quaderni, ma senza scarpe. Alcuni usavano stracci o avanzi di tela, altri venivano addirittura scalzi, con i piedi nudi, anche in pieno inverno".
"Furono anni molto difficili per tutti nei paesi e quando capitava di andare 'in gita' a Cagliari ci sembrava come di essere al parco giochi: era tutto bello, nuovo, colorato, luccicante, molto diverso dalla nostra realtà grigia e triste".
Solo negli anni '70 qualcosa cominciò a cambiare, quando le nuove scoperte iniziarono ad affacciarsi anche alle porte delle piccole comunità e le idee, portate qui da chi aveva potuto studiare 'in città' ed era poi ritornato, avevano dato la spinta per quella rivoluzione sociale tanto sperata quanto attesa per più di un decennio.