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Le celebrazioni della Settimana Santa entrano oggi nel vivo con la rievocazione della lavanda dei piedi. A Castelsardo, Alghero, Iglesias, Orosei, Ottana e numerosi altri centri della Sardegna la Passione di Cristo viene ripercorsa con riti suggestivi e rappresentazioni profondamente evocative che commuovono i fedeli e rapiscono l’attenzione delle migliaia di visitatori che affollano le strade delle città per assistervi.
Un aspetto singolare delle funzioni legate alla settimana più importante del calendario liturgico erano gli strumenti sonori che ne accompagnavano e scandivano i momenti principali. Oggi in disuso nella maggior parte delle comunità dell’Isola, i rumori prodotti da tali congegni sostituivano il suono delle campane i cui rintocchi si spengono in segno di lutto dal Venerdì Santo alla notte di Pasqua. Riscopriamone alcuni grazie al racconto di chi li ricorda e li ha utilizzati.
“La Settimana Santa era un momento attesissimo per tutti, ma per noi bambini ancora di più - ricorda un lettore di Sardegna Live -. La sera del Venerdì, con S’Iscravamentu, la deposizione del Cristo dalla croce, si materializzava davanti ai nostri occhi una scena drammatica che avevamo sentito raccontare spesso in chiesa o al catechismo, ma che in quel momento si concretizzava davanti a noi lasciandoci ammutoliti”.
“Anche gli altri riti de sa Chida Santa ci affascinavano profondamente, e noi stessi partecipavamo a quei momenti utilizzando gli strumenti realizzati in casa. Accadeva ad esempio nel giorno di Giovedì Santo, in occasione de Sas Chircas, la processione che rievocava la ricerca da parte della Madonna Addolorata di Gesù ormai in procinto di essere arrestato".
"In quell’occasione - prosegue il racconto - risuonavano lugubri i suoni de sas taulittas, uno strumento costituito da tre tavolette. Quella centrale era caratterizzata da un’impugnatura che la rendeva simile ad una spatola o a un tagliere da cucina. Gli altri due elementi avevano forma rettangolare e presentavano un foro su un lato attraverso il quale passava un laccio di cuoio che permetteva di assicurarli alla tavoletta principale. Il cordino veniva annodato in modo lasco così da permettere alle tavolette esterne di urtare sulle facce del pezzo centrale quando lo strumento impugnato dai partecipanti veniva agitato”.
E ancora: “Sa matraca, pur essendo analoga al congegno precedente, era composta diversamente. A una parte centrale in legno erano applicate due anelli di ferro simili a maniglie che facevamo battere pesantemente sulla tavoletta con un movimento rotatorio della mano che impugnava la tavola. Producevamo così un suono molto particolare”.
“C’era poi sa matraca a roda, più complessa di quella semplice. Era dotata di un meccanismo montato su una tavola il quale, azionato da una manovella, faceva girare una rotella che toccando un listello flessibile sollevava dei martelletti disposti su strutture di legno che ricadevano sulla tavoletta principale producendo un suono regolare”.
Gli strumenti erano diversi a seconda del paese, e spesso cambiavano anche i nomi con i quali erano indicati nelle varie aree dell’Isola. “Io ricordo sa rana ‘e taula e sa rana ‘e canna – ci racconta un altro lettore –. Funzionavano in maniera simile ed erano così chiamate a causa del rumore che producevano, molto simile al gracidare delle rane".
"Sa rana ‘e taula era composta da un pezzo di travetto di legno con una delle due estremità scavata all’interno. In quello spazio veniva inserita una ruota dentata fissata a un manico che la attraversa al centro. La rotella, girando, picchiava continuamente una linguetta di legno. Sa rana ‘e canna, invece, era composta da un pezzo di canna stagionata con la rotella applicata in uno spazio ricavato a ridosso di una delle due estremità. La rotella dentata era fissata ad un perno di legno che costituiva l’impugnatura e mediante il quale il sistema veniva fatto ruotare producendo un crepitio dovuto al raschiare continuo della rotella sulla linguetta di canna”.