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Il filu ‘e ferru, letteralmente “filo di ferro”, è l’acquavite sarda. Altresì nota come abbardente (acqua che arde) per via della forte gradazione alcolica, rappresenta un must nelle occasioni di ritrovo e aggregazione, soprattutto fra i più anziani, e negli anni si è imposto come uno dei prodotti maggiormente caratterizzanti e identitari della Sardegna. Da sorseggiare a fine pasto come digestivo o in compagnia di qualche amico, rallegra gli animi e facilita la digestione. Bevanda incolore e originariamente priva di aromi; oggi esistono anche alcune varianti, che grazie all’aggiunta di essenze spontanee tipiche della macchia mediterranea come il mirto, il corbezzolo e il finocchietto selvatico, ne variano il sapore. Le origini del nome sono da attribuire al periodo del proibizionismo sardo, derivante dal metodo utilizzato per nascondere gli alambicchi quando l'acquavite veniva prodotta clandestinamente. I contenitori con il distillato e gli alambicchi venivano nascosti sottoterra e, per poterne individuare la posizione esatta in momenti successivi, venivano legati con uno o più fili di ferro con un capo che sporgeva dal terreno.
LAVORAZIONE DEL PRODOTTO. Il filu ‘e ferru si ottiene dal processo di doppia distillazione di vinacce sarde selezionate, a temperatura controllata, scartando testa e coda del distillato. Queste vengono infatti stoccate e poi trasportate presso le distillerie, dove unite ai vini vengono sottoposte a tale processo con appositi alambicchi, costituiti da una caldaia munita di tappo e tubo, da un contenitore cilindrico e da una serpentina. Il procedimento consiste nel condensare i vapori provenienti dall’ebollizione delle vinacce e acqua nella caldaia. Il tappo, munito di termometro, è utile a verificare la temperatura ideale per la fuoruscita dei vapori (fra gli 82° e i 96° per un prodotto di maggiore qualità). Il vapore percorre la serpentina, posta all’interno di un contenitore cilindrico riempito di acqua, dove si raffredda e prende forma liquida, dando vita al filu ‘e ferru. Il corpo del distillato, che costituisce la bevanda, viene conservato in botti di rovere e sottoposto ad un periodo di stagionatura di un anno.
STORIA: DALL'ETA' ANTICA AL PROIBIZIONISMO. Per meglio inquadrare la storia e le origini dell’acquavite sarda, è necessario tornare indietro nei secoli. Non si ha una data certa sulla produzione, ma si presume che i primi distillati in Sardegna possano essere databili all’incirca al 1120-900 a.C., non è dunque da escludere che a quei tempi si consumasse qualcosa di molto simile al filu ‘e ferru. Per centinaia di anni il distillato è stato consumato dagli abitanti sardi in totale libertà. I monaci, che lo utilizzavano come farmaco o rimedio naturale contro i mali, ne diffusero i metodi per la preparazione, tanto che divenne di stampo casalingo. Ben presto, la produzione del filu ‘e ferru, divenne fonte di sostentamento per numerose famiglie, fino al 1874, quando, come già raccontato, il governo sabaudo la vietò con l’introduzione della Legge sui Monopoli di Stato. Per portare avanti l’attività era obbligatorio essere muniti di autorizzazione e pagare le specifiche tasse. È da quel momento che partì la produzione clandestina, con a capo le donne, protagoniste in questa fase: pare fossero loro incaricate di produrre e successivamente occultare in parti della casa o del giardino damigiane e alambicchi contenenti l’alcolico.
ACCOGLIENZA E TRADIZIONE. Oggi, come detto, è simbolo di ospitalità del popolo sardo, sempre presente nei cumbidi, ovvero i classici inviti rivolti agli ospiti a consumare la bevanda insieme. In Ogliastra, a livello familiare, artigianale, si produce anche un filu 'e ferru con aggiunta di caglio di agnello o capretto locali, che con la sua acidità dona al distillato aroma e gusto particolarmente acre e caratteristico e, alla vista, una certa velatura. L’acquavite si accompagna bene ai piatti tipici della tradizione sarda, come il maialetto, e anche ad alcuni dolci, su tutti quelli alle mandorle. La sua controversa e secolare storia ne fa un prodotto fra i più apprezzati nell’Isola, per alcuni “elisir di lunga vita”, per altri, più semplicemente, passione e delizia per il palato, motivo di ritrovo e condivisione.
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