Un intenso ciclo di convegni internazionali in concomitanza con la ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di Grazia Deledda. È l’ambizioso progetto promosso dall’ISRE (Istituto Superiore Regionale Etnografico) in collaborazione con le università di Sassari e Cagliari. L'istituto ha nominato una consulta per le celebrazioni della personalità e dell’opera deleddiana. A coordinare il team di esperti il professor Dino Manca, docente di Linguistica e Filologia della letteratura italiana e di Letteratura e filologia della Sardegna nel Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università degli Studi di Sassari. La squadra si avvale del prezioso contributo di Duilio Caocci, docente di Letteratura italiana e Letteratura sarda e letterature regionali presso la Facoltà di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Cagliari, e le saggiste Neria De Giovanni e Maria Elvira Ciusa.

“Partiremo dall'Università di Cagliari (20-21-22 ottobre) – spiega Dino Manca a Sardegna Live –, portando avanti l’iniziativa all'Università di Sassari (25-26-27 novembre) e chiudendo a Nuoro (9-10-11 dicembre). Nove giorni, sedici sessioni, novantacinque relazioni, tantissimi temi affrontati, tante relatrici e tanti relatori dalla Sardegna, dall'Italia, dal mondo. Tre importanti Convegni internazionali di studio che getteranno una nuova luce sulla personalità e l'opera del nostro premio Nobel”.

«Sento tutta la modernità della vita» è la citazione della Deledda che dà il titolo al fitto calendario di eventi. Professor Manca, la Deledda è ancora moderna?

Sì, modernissima, a dispetto di una certa critica novecentesca, non di rado connotata ideologicamente, che non capendola l’ha esclusa dal canone letterario. In Sardegna e fuori, per decenni, fu considerata alla stregua della “sprovveduta ragazza di provincia” e relegata in ambiti marginali o consegnata all’oblio, perché ritenuta tradizionale, ottocentesca, anti-moderna, lontana dalle suggestioni proprie delle «magnifiche sorti e progressive». Al contrario, la vita e l’opera stanno a dimostrare l’importante ruolo rivestito dalla Deledda e l’operazione culturale da lei svolta nel Novecento italiano ed europeo. Furono venti le raccolte di novelle scritte e pubblicate; un corpus di circa quattrocento testi, imprescindibile al fine di una valutazione critica complessiva della personalità e dell’opera. Scrisse più di trenta romanzi, dove giungono a convegno temi e motivi tutti novecenteschi. Una vasta produzione che contribuì ad arricchire l’articolato sistema letterario degli italiani. In poche righe scritte ad Angelo De Gubernatis l’8 novembre 1892, come una sorta di distillato, la scrittrice nuorese condensa un vero e proprio programma esistenziale, letterario e artistico: c’è l’ambizione della fanciulla, la caparbietà dell’autodidatta, l’ostinato desiderio di riuscire a realizzare i suoi sogni anche a costo di entrare in conflitto col suo mondo di appartenenza; ma c’è anche l’anelito ardente di futuro, la predisposizione ad accogliere «tutta la modernità della vita e del mondo», la ferma volontà di autodeterminarsi ed emanciparsi, di costruirsi da sé e di scrivere da sola il proprio destino.

 

Si parla spesso di femminismo deleddiano, ma è stata veramente una pioniera in tal senso?

No, non fu una femminista nel senso in cui questo termine si è storicamente e ideologicamente affermato. Non partecipò attivamente a quei movimenti femministi volti a conquistare per la donna parità di diritti e in taluni casi orientati a rimarcare l’antagonismo donna-uomo. Lei concretamente agì da sola, conquistando i suoi spazi, affermandosi e aiutando le altre donne, senza invidie o sterili competizioni. Tuttavia fu ed è ancor oggi un esempio di emancipazione e autodeterminazione. Fu la prima, ad esempio, ad affrontare nel 1902 in un romanzo il tema del divorzio. Nel 1909 accettò la candidatura, offertagli dai Radicali nel collegio elettorale di Nuoro in un periodo in cui le donne neppure potevano votare. Conquistò i salotti della Roma umbertina e lottò contro l’insofferenza degli uomini. Fu semmai il marito, Palmerino, a rivestire in famiglia un ruolo secondario, da gregario. Anche in questo senso la Deledda ha incarnato, con la sua stessa vita, il modello di donna libera in una società fallocentrica.

 

Le ricorrenze in ambito letterario sono sempre occasione di riflessione ed elaborazione anche scientifica. I momenti promossi dall'Isre potrebbero essere utili a fornire uno stimolo anche a livello istituzionale per una maggiore presa di coscienza del valore di Grazia Deledda? È una questione annosa ma mai risolta: perché l'unica scrittrice italiana Premio Nobel non si studia nelle scuole?

Perché l’opera della Deledda non rientra nel nostro canone letterario? Perché non si studia nelle scuole? Perché la Deledda era sarda e apparteneva a un sistema culturale e linguistico altro rispetto a quello italiano, con una sua identità e specificità. Credo che valga la pena partire da qui proprio perché, come scrisse Geno Pampaloni, «Grazia Deledda nella carta millimetrata del Novecento non collima mai». Spesso si è cercato di rimuoverla o marginalizzarla perché con le sole categorie di verismo e decadentismo non la si poteva comprendere. Se si volessero indagare le ragioni delle difficoltà che molti studiosi hanno incontrato nel comprendere la sua personalità e soprattutto la sua opera si dovrebbe innanzi tutto ripercorrere il dibattito sviluppatosi sui fondamenti teorici sui quali si sono specificati i concetti stessi di letterarietà e di letteratura (per lungo tempo informati sui principi dell'idealismo crociano) e soprattutto si è costruito il modello egemone di storia letteraria (desanctisiano). Bisogna modificare il paradigma culturale e linguistico sul quale si sono fondate le nostre storie e antologie letterarie fondamentalmente toscanocentriche.

 

Che fermento riesce a generare oggi il patrimonio culturale deleddiano? È semplicemente una ricchezza da studiare e custodire? O è un corpo ancora vivo che può generare ulteriore cultura in divenire?

È da studiare e da valorizzare per i temi trattati e per la verità metaforica riposta nel sottotesto delle sue opere. Nella sua scrittura non c'è mai compiacimento retorico, non c'è maniera. La Deledda utilizza l'artificio per parlare d'altro, lo piega ad un fine più alto. Questo è ciò che la rende figlia ed erede, a suo modo, della grande tradizione umanistica, che aveva costituito il fondamento di un’idea della letteratura come formatrice della vita intellettuale e morale dell’uomo, come moderatrice della sua natura; un’arte educatrice con finalità essenzialmente etiche. Ma non solo. Attraverso la trasfigurazione artistica e metaforica dell’Isola con la sua opera si è infatti realizzata una sorta di sublimazione (junghianamente intesa) di un inconscio collettivo, immenso archivio di simboli e di miti che si è tramandato nel tempo e che si è strutturato attorno ad archetipi fondanti, a fantasie e a immagini primordiali e condivise non solo dell’individuo ma di un intero popolo. Le innovazioni più significative nella stagnante e anacronistica prosa d’arte tra Ottocento e Novecento in Sardegna arrivarono dalle sue opere, il cui lungo e diversificato artigianato compositivo generò la moderna narrativa sarda in lingua italiana. Con lei si realizzò quel salto di qualità nell’avvio di una profonda opera di adattamento dei modelli culturali autoctoni ai codici, ai generi, alle tipologie formali proprie di un sistema linguistico e letterario d’inappartenenza. Se vuoi capire la natura umana e il suo sottosuolo devi leggere la Deledda. Se vuoi capire la Sardegna e la letteratura sarda devi fare i conti con la Deledda. 

  

Quale architettura argomentativa e tematica sta alla base dei tre convegni di Cagliari, di Sassari e di Nuoro? Quali percorsi di senso? Quale filo rosso li unisce?

Oltre all’imprescindibile ruolo di donna e scrittrice, abbiamo tenuto conto di altri due importanti aspetti della sua identità intellettuale e umana, antropologica e letteraria: i suoi mondi e gli ambiti di attività diretta e indiretta, di pensiero e di azione. Intanto il mondo delle origini, agropastorale, orale, nuorese e sardofono; poi il mondo di inappartenenza, urbano, scritto, italiano ed europeo. La Sardegna e l’Italia, Nuoro e la Roma umbertina. Infine, si è tenuto conto della Deledda nel mondo, ossia della ricezione della sua opera in Europa e negli altri continenti (Stati Uniti, sud America, Asia, Medioriente). Per quanto poi riguarda gli ambiti di attività diretta e indiretta ovviamente siamo partiti dalla sua ricca produzione testuale, quindi dall’ambito letterario, filologico e linguistico. La sua opera affrontata con un approccio critico vario e polifonico grazie al contributo di numerosi studiosi. Tra i percorsi di analisi non abbiamo dimenticato quello concernente le tradizioni popolari e gli studi demologici a partire dalle sue tradizioni popolari di Nuoro. I linguaggi dell’arte che la vedono implicata e la condizionano costituiscono un altro orientamento di senso. Un’altra importante e ricca sessione l’abbiamo voluta dedicare al cinema e al teatro, sottolineando il fatto che le opere della Deledda sono state, insieme a quelle di D’Annunzio, tra le più scandagliate, tradotte e adattate dal mondo della celluloide e dei cineasti: pensiamo a Cenere e al suo rapporto con Eleonora Duse, a L’edera (Delitto per amore di Genina), a La madre (Proibito di Monicelli), Marianna Sirca (Amore rosso), a Canne al ventoIl segreto dell’uomo solitarioIl cinghialetto. Infine, last but not least, una sessione sarà dedicata agli esercizi di libertà femminile, alla donna Deledda e al rapporto con le altre donne e l’ultima dedicata all’approfondimento, con qualche novità e utile rilettura, al suo rapporto col Nobel Luigi Pirandello.