Per capire questo detto bisogna immergersi nel passato. Immaginare campi da coltivare con molti figli da sfamare, in un’epoca senza tecnologia, risorse economiche agiate e pochi (se non pochissimi) strumenti per garantire una vita diversa ai propri figli. 

 

LA STORIA – È necessario pensare ai ruoli all’interno delle famiglie di quell’epoca. Gli uomini portavano avanti il cognome e la famiglia; le donne, invece, erano dedite a rendere calda e accogliente la casa, a cucinare, a mettere al mondo i figli ma, soprattutto, a essere a completa disposizione del marito e della famiglia. Quindi, quando veniva augurato a una coppia un maschietto con il detto “Tanti auguri e figli maschi!” in realtà, alle famiglie in attesa, veniva augurata forza lavoro sicura, braccia forti che sarebbero state in grado di aiutare il padre. 

Le figlie femmine, nella maggioranza dei casi, venivano considerate bocche in più da sfamare sino al giorno del loro matrimonio. Inoltre, la famiglia della donna era tenuta a provvedere alla dote (oggi chiamato “corredo”) della sposa, abolita ufficialmente in Italia solo nel 1975. 

Parliamo di qualche secolo fa, eppure il detto ha perso il suo uso comune da pochi decenni, passando da vero proprio augurio a un semplice modo di dire. Ed è così che un detto antico quanto la sua storia, ci racconta la quotidianità dei nostri antenati. 

 

IL PRESENTE - Si può affermare però che, in un 2022 quasi concluso, i ruoli familiari ben stabiliti di quei tempi siano completamente saltati all’interno delle famiglie. Quelle che hanno avuto una maggiore evoluzione sono state le donne che lavorano sia per necessità che per passione o ambizione, in gran numero rispetto al passato. Quel che però fatica a cambiare è l’idea, dietro a quel detto, che l’uomo debba provvedere esclusivamente al lavoro e la donna alla cura della casa e della famiglia.  

Si potrebbe pensare che la mentalità maschilista oggi sia storia passata, eppure capita che si provi stupore quando un padre accompagna il figlio al parco; o si reputa una donna fortunata quando il marito collabora nelle faccende domestiche; o ancora si considera una consuetudine chiedere a una donna che lavora a tempo pieno dove terrà i suoi figli, domanda che a un uomo non verrà mai posta.  

Insomma, siamo andati avanti nel tempo e nel progresso, ma si continuerebbe a conservare la mentalità di quegli anni. 

 

L’ESPERTA - Abbiamo chiesto alla Psicologa Claudia Demontis un suo parere in merito. 

Dottoressa, quanto siamo ancora figli di quell’antica cultura che voleva le donne a servizio completo della famiglia e gli uomini esclusivamente impiegati nel lavoro? 

“Siamo figli di una società ambivalente che invia messaggi distorti sui ruoli che donna e uomo dovrebbero ricoprire. Si tende a sponsorizzare un modello di donna “perfetta” che incarna sia il ruolo di manager con guadagni superiori agli uomini sia il ruolo di angelo del focolare senza rinunciare alla vita privata. Un’immagine utopica in cui la maggior parte delle donne non si riconosce anche per mancanza di strumenti o supporti per cui spesso è costretta a scegliere il ruolo di "manager della casa" e a occuparsi dei figli mentre l’uomo si limita alla semplice esecuzione di compiti di supporto e provvede a sostenere la famiglia economicamente. Questo doppio ruolo equivale a una presa in carico del 75% delle responsabilità famigliari, che sottraggono non solo energie fisiche, ma anche mentali e si riflette nel minor tempo di cui possono disporre per concentrarsi non solo sulla carriera ma anche sullo svago e sulla socializzazione.”


Quanto incide la cultura maschilista nelle aspirazioni delle giovani donne, specialmente nella nostra regione? 

“Negli ultimi secoli il mondo sociale ed economico è stato disegnato dai maschi per i maschi. Un gioco in cui gli uomini possono fare tutto da soli.

Le donne che invadono il campo da gioco maschile fanno paura per una semplice caratteristica: hanno una mente che invece di essere a scomparti è più interconnessa, hanno scariche ormonali più utili all’empatia che alla lotta e hanno un’esperienza di mediazione anziché di sfoggio di superiorità.

Le donne nascono con l’unica consapevolezza che devono tenere in equilibrio cento cose. Pochi strumenti e tanta sensibilità, soprattutto nella cultura sarda nata come matriarcale.

In un’epoca di passaggio come quella che stiamo vivendo (o subendo), le donne, e in particolare le donne sarde, a causa anche dell’insularità e di una mentalità maschile molto rigida hanno ancora bisogno di scimmiottare gli uomini e questo crea un organismo geneticamente modificato: un essere con i superpoteri delle donne ma, con l’aggressività che i maschi fanno emergere con maggior frequenza; un essere che nota tutto e non dimentica nulla; che fonde aspetti professionali e personali in un’unica dimensione e che non lascia possibilità per una birra riparatrice al bar a fine serata dopo una discussione drammatica in azienda. Tutto questo non solo spaventa i maschi, ma anche le donne che purtroppo non riescono ancora a sostenersi a vicenda.”