La vasta tradizione culinaria della Sardegna non vanta esclusivamente cibi prelibati, ma in questa trovano spazio anche caratteristiche e gustose bevande. Una delle più note è senz'altro il mirto, liquore ricavato dall'omonima bacca, fra i più amati e genuini di tutta la penisola. La pianta da cui ha origine è tipica della macchia mediterranea, caratteristica dell'Isola. Il nome "mirto" si presume derivi da "myrtos" (che a sua volta viene da myros, "essenza profumata"), con riferimento all'inconfondibile aroma che lo caratterizza. In dialetto sardo, a seconda della zona in cui cresce, viene chiamato "multa", "murtha", "mustha" o "murta durci". Il tipico liquore si ottiene dalla lavorazione delle bacche, talvolta insieme alle foglie. La qualità rossa è ritenuta la più pregiata, utilizzata anticamente come spezia per insaporire i prodotti di cacciagione. 

DALLA PIANTA AL LIQUORE. Ma che tipo di lavorazione si cela dietro questo ricco e ricercato prodotto? Una volta raccolte, le bacche devono essere lavorate subito, poiché col passare del tempo perdono gusto, profumo e proprietà. Dopo le 12 ore dalla raccolta si verifica un'esponenziale proliferazione dei batteri, con una consistente perdita del sapore. Il liquore, come già detto, si ottiene dalla macerazione in soluzione idroalcolica delle bacche di mirto nero in piccoli serbatoi di vetro per circa due-tre settimane. Successivamente, l'infuso che se ne ottiene viene separato dalle bacche, che vengono pressate con il torchio idraulico, così da recuperarne l'alcol e tutti i sapori delle stesse. Una volta pronti, infuso e pressato si mescolano insieme ad acqua e zucchero, per dar vita al prodotto ultimo. Il liquore appena preparato presenta una colorazione scura, mentre dopo alcuni mesi si attenua ed esibisce riflessi che tendono al rosso rubino, il gusto è più armonico e vellutato.

MITOLOGIA. Le origini del mirto sono antichissime. La sua storia risale addirittura alla mitologia classica e dietro di esso si cela un alone di mistero e di leggenda. Proprio in un mito dell'antica Grecia si narra di Myrsine, una fanciulla dalle straordinarie doti atletiche, che le permettevano di surclassare in avvenimenti sportivi anche gli uomini di pari età. La sua bravura suscitò talmente tanta invidia da causarle la morte proprio per mano di una avversario sconfitto. Questa suscitò la pietà della dea Pallade Atena, che la trasformò in una pianta di mirto, utilizzato da allora per intrecciare corone da posare sui capi dei vincitori. Ancora il mirto è considerato una pianta sacra per la dea dell'amore e della bellezza, Afrodite. Secondo la leggenda la dea, dopo il giudizio di Paride si cinse con una corona di mirto. Nelle parole di Ovidio viene raccontato che la stessa, fuoriuscendo dalla schiuma del mare, si sarebbe celata dietro un cespuglio di mirto per rifuggire da occhi indiscreti. 

SIMBOLISMO. Il mirto viene infine celebrato in più culture come segno di fecondità. In Inghilterra, per esempio, viene ancora oggi inserito nella composizione dei bouquet nuziali come simbolo di augurio e buona sorte. In alcune tradizioni popolari assume persino una connotazione erotica, come ad esempio quella cretese, dove rappresenta la pianta afrodisiaca per eccellenza. Ancora nella mitologia greca gli si attribuisce un significato funebre, quando Dioniso scende nell'Ade per liberare la madre e gli viene chiesta in cambio una pianta di mirto, simboleggiante da allora il mondo dell'oltretomba.

MIRTO DI SARDEGNA. Sebbene vi sia poca chiarezza su come questa affascinante bacca sia giunta in Sardegna, è certo che dal 1700 viene ricavato da questa l'eccezionale liquore, icona della cultura isolana. I primi a tramandarne la preziosa ricetta furono i briganti della Gallura, che erano soliti chiamare questa bevanda “acqua degli angeli” e che la introdussero persino nella vicina Corsica. In un viaggio attraverso la storia questa pianta riscuote ancora oggi grande fascino ed è uno dei prodotti maggiormente rappresentativi della tradizione sarda nel mondo, simbolo di di purezza, bellezza, gloria e fortuna.

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