Erano circa 600 i manifestanti che oggi hanno partecipato al corteo contro le basi militari e le esercitazioni Nato in Sardegna. Sono arrivati sino al secondo ingresso del poligono militare di Teulada per poi tornare indietro.

Durante la "retromarcia" verso il punto di ritrovo un gruppo di manifestanti, a volto coperto e coperti dal lungo striscione di coda, è riuscito a tranciare quasi cinque metri di rete che delimita il recinto del poligono e hanno sfidato, anche con cori, le forze dell'ordine in tenuta antisommossa, ma non c'è stato nessuno scontro.

Un'azione fulminea, con tanto di slogan cantato e fuochi di artificio per "gioire dell'impresa", per poi riprendere la marcia verso Sant'Anna Arresi. Le forze dell'Ordine non hanno ceduto alle provocazioni e hanno atteso che il corteo riprendesse a camminare per constatare i danni alla recinzione del poligono, che comunque era presidiato all'interno da diverse squadre di militari e dagli stessi poliziotti. I manifestanti, infatti, non sono andati oltre qualche metro all'interno della base, per poi riprendere la marcia verso la piazza che ha ospitato il raduno prima del corto e poi disperdersi concludendo di fatto la protesta.

L’Assemblea contro la presenza militare in Sardegna ha spiegato in una lettera – che pubblichiamo integralmente – il perché della manifestazione di oggi:

Perché un nuovo corteo a una base militare? Continuiamo a credere che l’occupazione militare della Sardegna sia una delle dimostrazioni più esplicite del dominio coloniale che martoria la nostra terra. Devasta l’ambiente, sottrae enormi porzioni di territorio a terra e a mare che potrebbero avere ben altro utilizzo, produce una monocultura economica che si riverbera come ricatto occupazionale: impedisce forme altre di sussistenza, provoca la miseria di cui si fa forte per continuare a dimostrarsi non solo necessaria, ma anzi benefica. Ma sappiamo bene che dietro questi specchietti per le allodole quelle reti ci parlano da sempre di morte, sangue versato, sfruttamento per un tozzo di pane, inquinamento e malattie. Noi lo sappiamo bene che per la nostra terra desideriamo altro che essere la colonia periferica di uno stato che qui è presente soprattutto quando deve scaricare le tonnellate di proiettili e missili sue e dei suoi alleati, per simulare quelle guerre che fanno sfregare le mani alla NATO. Stavolta la guerra non è scoppiata in Medio Oriente, ma alle porte dell’Europa, e convincerci che stavolta siamo i buoni è diventato fondamentale. Ci dicono che proprio stavolta è giusto stare zitti, è giusto guardare gli aerei partire senza farsi domande, è giusto che le basi ci siano e intensifichino anche la propria attività. Non ci hanno mai convinto i loro discorsi, abbiamo sempre saputo che più sangue scorre più lauti sono i loro guadagni, e che la loro ricchezza si espande tanto più ci impoveriscono e ci soffocano. Lo sappiamo ancora meglio ora. Vogliono dividerci, dicono che chi è contro la NATO sta con Putin: questa guerra è diversa dalle altre perché è vicina, ma è l’ennesima guerra tra predatori, tra due blocchi imperialisti che mostrano i muscoli per guadagnare una posizione più forte, mentre a morire sono, come sempre, soprattutto i civili.

 

Il 19 Dicembre a Capo Frasca abbiamo dimostrato che noi per la Sardegna vogliamo qualcos’altro e che qui i militari non sono i benvenuti. A Capo Frasca siamo riusciti a dire tutte e tutti insieme che dietro quelle reti, la terra ci appartiene. Ci piacerebbe riuscire a replicare una giornata felice come quella del 19 Dicembre, dimostrando che tagliare le reti e invadere le basi è giusto e ancora possibile.

 

Vogliamo provare a farlo nel rispetto di ogni sensibilità e fedeli al motto tanti modi, un’unica lotta, facendo in modo che ognuno trovi il proprio modo di essere presente, dimostrando che il movimento contro l’occupazione militare della nostra terra è unito, forte e determinato, e lo è ancor di più mentre risuona l’eco di una guerra in Europa. Ma ci sta a cuore anche ribadire che l’occupazione militare è solo una delle tante forme di oppressione con cui l’isola deve fare i conti, per cui il 22 Maggio ci troveremo a lottare a Sant’Anna Arresi come un altro giorno ci opporremo a un nuovo ecomostro, a delle scorie nucleari o al fianco di lavoratori sfruttati: per noi lottare contro le basi significa anche lottare per la liberazione della Sardegna. Per questo pensiamo che sia importante, più di ogni altra cosa, esserci, esserci sempre, esserci con i nostri corpi, perché se saremo una moltitudine, i nostri messaggi arriveranno più forti e più chiari, per ribadire in maniera inequivocabile, ancora una volta, che la Sardegna quelle reti le vuole abbattere tutte.

 

Foto: A Foras - Contra a s'ocupatzione militare de sa Sardigna