Sono passati venticinque anni dall'inizio di una delle più note vicende di cronaca nera isolana, il rapimento di Silvia Melis, avvenuto a Tortolì il 19 febbraio 1997. L'imprenditrice rimase nelle mani dell'Anonima sequestri per 265 giorni prima di venire liberata.

IL SEQUESTRO. La sera del 19 febbraio 1997 Silvia Melis, imprenditrice e consulente del lavoro 27enne di Tortolì, figlia del noto ingegnere Tito Melis, venne rapita dai banditi mentre tornava a casa in auto. Silvia, poco prima, aveva contattato telefonicamente col cellulare alcuni amici invitandoli a cena da lei. Una volta a casa della donna, questi trovarono la sua auto abbandonata con le portiere aperte e il piccolo Luca, figlio di Silvia, legato, bendato e imbavagliato a bordo. Da quel momento, di lei, si persero le tracce per nove mesi.

LE TRATTATIVE. La lunga e complessa trattativa che seguì con i sequestratori sembrava essere entrata nella fase finale attorno al 15 luglio successivo, ma l'incontro coi banditi per il pagamento del riscatto non ebbe luogo e tutto saltò. Negli ultimi 74 giorni di prigionia Silvia fu tenuta nascosta dentro una tenda. L'11 novembre 1997, infine, due agenti in borghese di pattuglia su un'auto civetta del commissariato di Orgosolo, notarono una donna che camminava da sola sul ciglio della strada tra il bivio di Galanoli e il ponte di Badu 'e Carros: era Silvia Melis.

LIBERTA' E POLEMICHE. La donna raccontò di essere riuscita a liberarsi approfittando di un momento di distrazione dei carcerieri scappando senza pagare riscatto. L'allora editore de L'Unione Sarda Nichi Grauso, invece, fornì una versione dei fatti differente. L'imprenditore cagliaritano raccontò infatti di essere stato lui a pagare il riscatto ai rapitori nelle campagne fra Esterzili ed Ulassai. La magistratura cagliaritana smentì con forza la tesi sostenuta da Grauso che venne indagato per favoreggiamento e tentata estorsione ai danni di Tito Melis. Vennero indagati anche il giudice Luigi Lombardini e l'avvocato Antonio Piras, accusati al pari di Grauso di aver fatto credere alla famiglia Melis di avere contatti con i rapitori, e l'allora direttore de L'Unione Sarda Antonangelo Liori, accusato di aver accompagnato da Grauso il medico che curò Silvia Melis dopo il sequestro. Successivamente venne indagato per estorsione e favoreggiamento anche Luigi Garau, difensore della famiglia Melis.

LA BANDA. La donna raccontò agli inquirenti di essere stata tenuta prigioniera in cinque posti diversi, tutti individuati durante le indagini tranne uno, una grotta. Il 29 maggio 1999 vennero arrestati Antonio Maria Marini di Orgosolo (condannato poi con sentenza definitiva a 30 anni), sua madre Grazia Marine (25 anni e mezzo) e Pasqualino Rubanu (26 anni).

SUICIDIO LOMBARDINI. L'11 agosto 1998 il giudice Luigi Lombardini, poco dopo un interrogatorio dei magistrati di Palermo che avevano assunto l'incarico di seguire il processo, si suicidò nel proprio ufficio. Le accuse dei magistrati di Palermo si basavano su alcune intercettazioni e sulla testimonianza di Tito Melis. L’imprenditore ogliastrino raccontava di aver riconosciuto il giudice Lombardini in un uomo dal volto coperto da un passamontagna che aveva incontrato di notte, nelle campagne di Elmas, durante il rapimento della figlia. L’uomo incappucciato avrebbe minacciato il Melis chiedendogli di pagare il miliardo richiesto dai rapitori ed un altro in aggiunta.

LE ASSOLUZIONI. Nel 2010 Grauso, Garau e Liori sono stati assolti per quanto riguarda l'estorsione ai danni della famiglia Melis in quanto il fatto non sussiste.