Il viso innocente segnato da un neo sulla guancia, lo sguardo talvolta accigliato o illuminato da un sorriso appena accennato. Il volto del piccolo Farouk Kassam è campeggiato per mesi su quotidiani e telegiornali italiani e non solo nel corso del 1992. Sono passati trent'anni da quando venne compiuto in Sardegna uno dei sequestri che ha sconvolto maggiormente l'opinione pubblica, quello del piccolo di origine indiana, figlio dell'imprenditore Fateh, prelevato dai banditi dalla villa di famiglia a Porto Cervo e liberato dopo quasi sei mesi di prigionia.

I FATTI. Farouk Kassam nel 1992 aveva appena 7 anni. Era nato il 9 maggio 1984 a Vancouver (Canada), figlio di Fateh Kassam, imprenditore belga di origine indiana e gestore di un grande albergo in Costa Smeralda. Il nonno del bimbo era il visir Adjabali Kassam, molto vicino a Karim Aga Khan, fautore del miracolo smeraldino.

Il sequestro avvenne il 15 gennaio 1992, quando il commando di banditi irruppe nella villa della famiglia Kassam a Porto Cervo. A capo della banda il malvivente di Lula Matteo Boe. La vicenda assunse subito rilevanza internazionale, anche perché inizialmente la stampa parlò erroneamente di una parentela diretta fra la famiglia del piccolo e il principe ismaelita Karim Aga Khan, l'uomo più ricco e potente della Costa Smeralda. I Kassam erano comunque vicini all’Aga Khan: il nonno di Farouk aveva lavorato come diplomatico per l'Imam e lo stesso terreno su cui sorgeva l'albergo di famiglia era di sua proprietà.

LA PRIGIONIA. Durante la prigionia, Fateh, a causa della legge anti-sequestri approvata alcuni mesi prima dal Parlamento italiano, non aveva più la disponibilità dei suoi beni. L’uomo mostrò a più riprese un certo fastidio nei confronti delle forze dell'ordine che assediavano la sua abitazione sfidando pubblicamente i sequestratori e mettendosi autonomamente alla ricerca del bambino. Il giorno di Pasqua, tre mesi dopo l’inizio del sequestro, la madre di Farouk, Marion Bleriot, si recò a Orgosolo, all’epoca paese simbolo del banditismo isolano. In chiesa, davanti ai fedeli, la donna si appellò alle madri barbaricine chiedendo un aiuto alla comunità per la liberazione del bambino.

LE TRATTATIVE. I rapitori si fecero vivi attraverso il quotidiano La Nuova Sardegna, prendendo contatto prima con i sindaci di due paesi, poi con due sacerdoti. Così riuscirono a comunicare con la famiglia per le lunghe ed estenuanti trattative. Quando i servizi segreti italiani si occuparono della vicenda, il bandito orgolese Graziano Mesina venne rilasciato ufficialmente mediante un permesso per motivi familiari, ma in realtà si inserì nelle trattative collaborando alla liberazione del bimbo che, si scoprirà più tardi, era tenuto nascosto nel Montalbo di Lula. Venne così quantificata la somma che i rapitori chiedevano come riscatto, ma il padre della vittima disse inizialmente di non voler pagare. 

In una delle fasi più drammatiche del sequestro, il bimbo subì la mutilazione della parte superiore dell'orecchio sinistro che venne inviata alla famiglia come prova della sua esistenza in vita.

LA LIBERAZIONE. Il bambino fu finalmente liberato l'11 luglio 1992, in circostanze mai completamente chiarite e dopo il pagamento di un riscatto che, secondo alcune fonti, ammontava a 5 miliardi e 300 milioni di lire (uno dei più alti di sempre), sebbene la cifra non fu mai dichiarata in sede processuale. Il fatto che la liberazione si dovesse all'intervento di Mesina fu smentita dalle forze di polizia, ma egli aveva avvertito anticipatamente il giornalista Pino Scaccia del TG1, che diede la notizia in anteprima.

IL PROCESSO. Il processo si concluse con la condanna a 30 anni di detenzione per Matteo Boe (tornato in libertà il 25 giugno 2017) e a 27 e 29 anni di carcere per due suoi compaesani, Ciriaco Marras e Mario Asproni. Non è mai stato chiarito chi fossero due dei quattro banditi entrati in azione nella casa della famiglia Kassam e chi fossero i due custodi descritti dal bimbo come una vecchia e un uomo basso e tarchiato.

FAROUK OGGI. Oggi Farouk Kassam è un uomo d'affari e imprenditore di 37 anni. Vive la sua vita fra Roma, Dubai e la Sardegna. Torna spesso nell'Isola, una terra della quale non si è mai disinnamorato nonostante tutto e dove amministra ancora l’albergo di famiglia, il “Luci di la Muntagna”. 

IL DISCORSO DELLA MAMMA DI FAROUK IN CHIESA A ORGOSOLO

Ho scelto di rivolgermi a voi per la vostra generosità, e ospitalità, perché siete persone di cuore. A tutte le mamme lancio il mio grido, so che voi potete capirmi. Abbiamo portato i nostri figli in grembo per nove lunghi mesi, li abbiamo amati, coccolati, curati per giorni e notti, gli abbiamo dato il meglio di noi e poi un giorno, nella mia casa, sono entrati degli sconosciuti e si sono portati via il mio bambino. Nessuna lacrima, nessun grido, solo la voce angosciata di un bambino che dice “ma io voglio stare col mio papà”.