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Sono passati 29 anni dal sequestro a Porto Cervo del piccolo Farouk Kassam. La vicenda rappresentò uno dei più noti fatti di cronaca legati al banditismo nell'Isola. Il 15 gennaio 1992 Farouk venne sequestrato nella villa dei genitori dal noto bandito Matteo Boe. Per il riscatto l'uomo ottenne una delle cifre più alte mai registrate per un sequestro di persona in Sardegna.
Tali cifre non furono mai rese note in sede processuale, ma a chiarirne l'esistenza fu Graziano Mesina, che giocò un importante ruolo da mediatore fra le parti, ottenendo il permesso di uscita dal carcere per portare avanti la trattativa di liberazione del bambino. La prigionia durò quasi sei mesi: in quel periodo il padre di Farouk, che a causa della legge anti-sequestro non disponeva più dei suoi beni, si mise alla ricerca solitaria del figlio.
Una prima svolta arrivò quando i sequestratori decisero di contattare, tramite La Nuova Sardegna, dapprima i sindaci di due paesi, poi due sacerdoti e infine la famiglia. Mesina fu a quel punto rilasciato con un "permesso per motivi familiari", al fine di poter intraprendere le trattative, che portarono a stabilire la somma necessaria per il riscatto. Successivamente si scoprì che Farouk su tenuto nascosto per diverso tempo in una grotta sul Montalbo, nei pressi di Lula, paese natale dello stesso Boe. Come prova dell'esistenza in vita gli fu brutalmente mutilato l'orecchio sinistro.
Fu liberato l'11 luglio. La notizia - trapelata - del ruolo giocato da Mesina nelle trattative creò non pochi problemi alle forze dell'ordine. Matteo Boe fu condannato a 30 anni di detenzione (è stato poi scarcerato nel 2018), a 27 e 29 due suoi compaesani, Ciriaco Marras e Mario Asproni. Aleggia tutt'oggi un'ombra misteriosa su chi fossero due dei quattro banditi irrotti in villa Kassam il giorno del sequestro e su chi invece i due custodi descritti dal bimbo come "una vecchia e un uomo basso e tarchiato".