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Ottantanove. È la media giornaliera di donne vittima di violenza in Italia nel 2021. Centootto. Sono i femminicidi nel Paese nello stesso anno. Secondo l'ultimo report della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, nel 36 per cento dei casi l'autore del femminicidio è stato il marito o il convivente. Non si può rimanere indifferenti davanti a questi numeri, che anno dopo anno crescono incessantemente. Non sono bastate le sempre più frequenti iniziative atte a sensibilizzare sul tema, non sono bastate neanche le testimonianze di donne coraggiose vittime di violenza, sopravvissute. Ad ogni latitudine, indifferentemente dalla cultura o religione, la donna è stata storicamente oggetto di soprusi e maltrattamenti. Una tendenza che con gli anni non si è infiacchita e che anzi nel periodo di lockdown ha raggiunto il suo apice.
UN'ONDATA DI VIOLENZA. Secondo quanto emerso dal rapporto annuale del Crenos sull’economia della Sardegna, nell’isola il numero di chiamate antiviolenza è più che raddoppiato. Delle otto province solo Ogliastra e Medio-Campidano hanno fatto registrare una riduzione dei casi, mentre a preoccupare particolarmente sono i dati della provincia di Cagliari, dove il numero di chiamate per 100mila abitanti si attesta sopra la media nazionale. Tuttavia, sono ancora troppo poche le denunce, come evidenziato dal capo del Dipartimento anticrimine della polizia Francesca Messina: “Dobbiamo aiutare le donne a difendersi, dobbiamo accompagnarle in questo percorso e per far questo bisogna operare in sinergia”, ha detto. “Il 2021 – ha affermato invece ieri il presidente del Consiglio regionale Michele Pais – è stato un anno orribile. Chi usa la violenza contro una donna viola un’intera società”. Nell’occasione è stato osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime e la consigliera del PD Rossella Pinna ha ribadito la richiesta di istituire la Commissione speciale contro la violenza di genere. Durante il discorso alla Camera della ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti per presentare una mozione contro la violenza sulle donne, soltanto 8 dei 630 deputati hanno presenziato. Un’immagine simbolo di come ancora ci sia tanto da lavorare per conseguire risultati convincenti.
SERVE DI PIU'. Di tutto questo abbiamo parlato con la sindaca di Guasila, Paola Casula, componente della Commissione Regionale Pari Opportunità. “È importante e interessante – ha detto a Sardegna Live – che per un giorno questo tema divenga oggetto di discussione nazionale; tuttavia – precisa – non basta più parlare del problema. C’è una certa cecità nell’affrontare questa situazione e non si agisce abbastanza”. Per far sì che si smuovano le acque è necessario far fronte comune: “C’è necessità di fare rete tra i vari servizi a partire dai centri antiviolenza che vanno potenziati. Durante la pandemia il disagio all’interno delle mura domestiche si è accentuato. Noi come amministratrici e amministratori dobbiamo affrontare il problema da un punto di vista strutturale, garantendo finanziamenti certi e potenziando il famoso reddito di libertà, del quale la Regione Sardegna è pioniera, essendo stata la prima ad approvarlo”. Fondamentale l’interazione: “C’è la necessità di informare sul territorio e rassicurare le donne che hanno bisogno di aiuto e che nel momento in cui cercano di uscire da una situazione di violenza abbiano tutte le risposte. Mi rendo conto anche da sindaca che molto spesso non abbiamo gli strumenti per affrontare questo problema”.
AD OGNI AZIONE UNA REAZIONE. “Questo discorso – ribadisce la prima cittadina – non può essere affrontato solo nei convegni. Non possiamo parlarne nelle sedute straordinarie di Consiglio regionale senza poi agire con strumenti che potenzino la rete nel territorio. Continuiamo a dirci che è un problema culturale e alla fine non lo affrontiamo mai con azioni reali e concrete”. Sono le donne stesse, vittime di violenza, a farsi portavoce del sentimento di rivalsa, grazie a una rinnovata consapevolezza. “Nelle comunità, parlo ad esempio della mia – racconta – cerchiamo di trattare il tema costantemente, proprio per far acquisire alle donne quelle certezze di cui hanno bisogno. Molte pensano che ciò che accade in famiglia sia normale, invece è importante stabilire quando un determinato atteggiamento sfocia in azione violenta. D’altra parte – evidenzia – è vero che le chiamate sono aumentate perché la convivenza forzata dal lockdown ha aumentato di conseguenza i casi”. L’amministratrice sottolinea l’importanza di “intervenire con gli strumenti giusti. Infatti, farlo in modo sbagliato rischia di compromettere ulteriormente la situazione della vittima. È necessario far sì che venga scongiurata ogni possibilità di ritorsione da parte del maltrattante”.
IL RUOLO DELLA SOCIETA'. È qui che entrano in campo istituzioni e autorità: “L’agire deve essere accompagnato da una corretta gestione, attraverso una rete di interazioni fra le forze dell’ordine, i servizi sociali, i centri antiviolenza. Una comunità lasciata sola a sé stessa non può farlo. Trattare un caso di violenza domestica significa mettere a rischio una donna che cerca di uscire da una situazione di disagio e che ha il coraggio di parlare”. L’esponente della Commissione Regionale Pari Opportunità rivela: “Abbiamo proposto l’istituzione della giornata sulla parità, che consiste nel cercare di insegnare che esiste un’eguaglianza di diritti. Molto spesso nelle piccole comunità sopravvivono quegli stereotipi figli di una società che vede nella figura dell’uomo quella del ‘soldatino’, mentre quella della donna è associata a un’immagine fragile”. Serve ancora un lungo lavoro: “Però è importantissimo. Le comunità possono e devono accogliere le donne che chiedono aiuto: è necessario che non si sentano sole e che trovino rifugio all’interno di queste. Troppo spesso la donna rimane sola ed è in questi casi che le istituzioni devono intervenire. Non dobbiamo voltare il viso, solo così si creano le relazioni umane, solo così – conclude – la donna potrà tornare a scegliere il proprio destino”.