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Il tema della violenza sulle donne è universale e senza tempo. All’indomani del 25 novembre, data simbolica indicata dalle Nazioni Unite come giorno di riflessione sul fenomeno, innumerevoli storie di solitudine e sofferenza continuano a scriversi ogni giorno e ad ogni angolo del mondo. In Italia, le donne vittime di omicidio volontario nel 2020 sono state 116, cifra che nel 2021 rischia di essere superata.
Alessandra Nivoli è docente di Psichiatria dell’Università di Sassari e fondatrice responsabile del Centro di vittimologia e prevenzione della violenza presso l’ospedale di San Camillo, in attività da tre anni e mezzo. La sua è una testimonianza diretta di tanti casi in cui la vita delle donne si trasforma in un inferno di violenza psicologica e fisica nelle nostre comunità. Storie della porta accanto.
“La nostra struttura si occupa della valutazione psichiatrica, psicologica e dal punto di vista della consulenza legale per chiunque abbia subito qualsiasi tipo di trauma, che sia un trauma acuto (incidente stradale, aggressione) o trauma cronico (come nel caso delle violenze interpersonali e domestiche) – spiega la dottoressa Nivoli a Sardegna Live -. L'unità è aperta a chiunque ne abbia bisogno. Ma dal punto di vista pratico la maggior parte delle persone che si rivolgono a noi sono donne vittime di violenza in casa da parte del partner o dell’ex compagno o marito”.
Secondo i dati della Polizia Criminale raccolti dal Viminale, su un totale di 263 omicidi volontari compiuti in Italia dal 1° gennaio al 21 novembre 2021, il 35% (93 casi) ha avuto come vittime donne uccise in ambito familiare o affettivo. Di questi, 63 sono stati a opera del partner o dell'ex partner. Dati che sconvolgono. “Le motivazioni sono tantissime – commenta Alessandra Nivoli –. Nell’ambito di una relazione affettiva ci sono tutta una serie di sentimenti che a volte possono andare dall’amore più profondo a sentimenti di odio vero e proprio. Quando si parla di una relazione intima, più grande è il sentimento e più sono complesse e varie le sue sfaccettature. L’odio emerge soprattutto quando la relazione finisce”.
AMORE TOSSICO. Qual è il meccanismo che scatta nella psiche della donna che non riesce a liberarsi di una relazione che genera negatività e dolore? La Nivoli analizza: “Da una parte c’è l’aspetto psichiatrico: disturbi veri e propri con dipendenze affettive che mettono le donne in una situazione di incapacità di gestire una relazione. L’importante, in questi casi, è che la relazione esista, se è tossica o meno per loro è uguale. Poi ci sono caratteristiche di personalità che possono essere fattore di rischio. Prendiamo il caso una donna particolarmente empatica e sensibile, questa potrebbe rimanere legata ad un uomo perché è in grado di cogliere in lui caratteristiche positive che altri non vedono. Ora, l’empatia è una caratteristica positiva ma nel caso di un amore patologico è rischiosa perché impedisce alla donna di slegarsi dall’uomo che la maltratta”.
IL SILENZIO. Quanto è importante un supporto in ambito familiare e domestico? E quanto incide nell’evolversi del dramma il silenzio di chi sa e per paura, imbarazzo o discrezione evita di intervenire ed entrare nel merito di situazioni così delicate? “E’ un aspetto quasi sempre fondamentale – dichiara l’esperta –. Nel momento in cui una donna non ha supporto sociale o familiare finisce per sentirsi sola, abbandonata a sé stessa. E spesso le donne da sole non riescono a gestire simili situazioni. Anche fra le nostre pazienti spesso sentiamo testimonianze del tipo: “Mia madre mi ha detto di non lasciarlo, di pensare ai figli”. Le linee guida più moderne dicono che anche i vicini di casa devono essere educati all’attenzione. Soprattutto nel periodo del lockdown, quando le persone non potevano uscire di casa, si diceva: se i vicini si rendessero conto dalle voci e dai rumori che qualcosa non va chiamino loro stessi le forze dell’ordine perché spesso le donne da sole non hanno il coraggio di farlo”.
IN SARDEGNA. Nell’Isola, secondo i dati Istat, si registra uno dei tassi più alti a livello regionale sul fronte femminicidi. A che punto siamo nel tortuoso cammino del contrasto alla violenza di genere? “Il nostro è l’unico centro universitario che si occupa di violenza a livello di sanità pubblica in tutta la Sardegna – osserva la dottoressa Nivoli –. Per fortuna ci sono tantissime associazioni e centri contro la violenza, ma a livello di strutture pubbliche c’è ancora tanto da fare. Ne parlavamo anche stamattina in una riunione con le università di Cagliari e Sassari”.
MEDIA E SOCIETA'. Nei giorni scorsi ha fatto discutere la vicenda della giornalista Greta Beccaglia, colpita con una pacca sul gluteo da un tifoso all’uscita di una partita di Serie A ad Empoli. Un gesto ripreso in diretta tv che se da una parte ha creato indignazione dall’altra ha acceso il dibattito. C’è chi dice: attenzione, tra una pacca e un abuso sessuale ce ne passa. Ma è proprio così? Per Alessandra Nivoli “c’è un’evidente ambivalenza. È chiaro che ci sia una differenza fra una pacca e uno stupro. Ma se ci si sofferma su questo non si capisce il nucleo del problema, ovvero che una pacca data in quel modo, senza che la donna fosse d’accordo e fosse una cosa condivisa, non è un atteggiamento che manifesta apprezzamento ma un sopruso. È molto sottile il limite fra l’apprezzamento e la prevaricazione. Il significato di quel gesto è più forte del gesto stesso che se una volta era tollerato dagli uomini e dalle donne stesse, oggi per fortuna non lo è più perché la società sta cambiando. Quindi è giusto e importante soffermarsi su questo: nessun uomo può dare una pacca ad una donna in quel modo senza che lei sia d’accordo”.
Il 25 novembre è passato, ma per le donne vittime di violenza rimane una vita impossibile da condurre nella quotidianità. Come può l’opinione pubblica sviluppare in maniera fruttuosa le riflessioni emerse in quella data? Che approccio può adottare chiunque di noi rispetto a una questione così amara? “A volte si pensa che la violenza sulle donne sia un problema delle donne. È sbagliato: la violenza di genere è un problema di tutti e due i generi, della coppia, della famiglia, dei bambini che crescono nella scuola con stereotipi di genere, ai quali viene insegnata spesso la cultura del non rispetto anche nelle piccole cose. Ecco proprio lì, nella cultura e nei gesti, dovremmo tutti impegnarci ogni giorno".
"Noi esperti - conclude la Nivoli - lo facciamo quotidianamente sul campo, nel lavoro, nelle conferenze. Ma anche gli insegnanti, i genitori, i media dovrebbero tener fede all’impegno di valorizzare una cultura fondata sul rispetto reciproco. È un percorso molto lungo, ma l’importante, ripeto, è partire dalla certezza che la violenza di genere è un problema dell’intera società”.