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E' il vitigno a bacca nera più diffuso in Sardegna rappresentando il 30% della superficie vitata isolana, il 70% del totale è concentrato nella provincia di Nuoro (Barbagia, Mandrolisai, Ogliastra). Di sua maestà il Cannonau, fino a non molto tempo fa, non si conosceva con certezza l'origine tanto che gli esperti lo hanno ritenuto a lungo un vitigno importato dalla penisola iberica. Recenti studi hanno però dimostrato la sua endemicità grazie anche al rinvenimento di resti di vinaccioli risalenti a 3200 anni fa nella valle del Tirso, sulle colline di Sardara, a Villanovafranca e nel villaggio nuragico Duos Nuraghes di Borore. La straordinaria scoperta ha permesso di riscrivere la storia dell'origine della domesticazione della vite e il Cannonau oggi è ritenuto il vino più antico del bacino del Mediterraneo.
LA STORIA. Una menzione particolare merita il ritrovamento avvenuto nell'ambito degli scavi condotti nel 2002 nel sito archeologico di Duos Nuraghes, a Borore. In quell'occasione vennero rinvenute centinaia di vinaccioli di vite (i semi contenuti in un acino d'uva), antichissimi, carbonizzati dal tempo, databili intorno al 1200 a.C., ovvero 3200 anni fa. La scoperta, oltre a portare alla ribalta nazionale il sito di Duos Nuraghes, ha dimostrato che le popolazioni nuragiche coltivavano la vite e producevano vino. Il ministero delle Politiche agricole ha così potuto registrare come il Cannonau "che si riteneva fosse stato importato dalla Spagna nel 1400 ha in realtà origini autoctone".
Una varietà di vite diversa dunque da quella spagnola. Sebastiano Ghisu, nel suo libro Borore Arcaica, scrive: "La teoria storica ufficiale fino alle recenti scoperte sui vinaccioli sardi raccontava che la domesticazione della vite, nata nell'area del Caucaso e della Mesopotamia, venne trasferita progressivamente in Anatolia e in Egitto, da qui nelle isole egee, in Grecia e nel resto dell'Europa, infine grazie ai Fenici arrivò nel Mediterraneo Occidentale e in Sardegna. Oggi, con le recenti scoperte archeologiche, si può affermare con certezza che con l'arrivo dei Fenici, in Sardegna la coltivazione e domesticazione della Vitis vinifera era già conosciuta".
CANNONAU DI SARDEGNA. Dalle uve cannonau si produce prevalentemente il vino DOC Cannonau di Sardegna, rosso o rosato, ottenuto per il 99% di uve Cannonau e il restante 1% massimo da uve di produzione locale. E' prodotto in tutta l'Isola e l'invecchiamento obbligatorio minimo di questo vino è di un anno, del quale, almeno 6 mesi, trascorsi in botti di rovere o castagno. Il colore è rosso rubino più o meno intenso, tendente all'arancione con l'invecchiamento. L'odore è gradevole, caratteristico. Il sapore secco, sapido, caratteristico.
Le sottodenominazioni contemplate sono Cannonau di Sardegna Capo Ferrato (prodotto nel Sarrabus), Cannonau di Sardegna Jerzu (Ogliastra) e Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena (prodotto fra Oliena e Orgosolo).
Con un invecchiamento di tre anni (di cui due anni in botti di rovere) e un altro periodo in bottiglia che può variare, il Cannonau ha una gradazione minima del 13,5% e può portare la qualifica riserva.
ABBINAMENTI E CURIOSITA'. Il sapore inebriante e il retrogusto morbido e robusto si accostano perfettamente ai sapori forti della cucina isolana. Ottimo per accompagnare cacciagione, arrosti di carne, formaggi come il pecorino e il caprino. Il Cannonau è elemento centrale della ricetta di lunga vita isolana. La longevità dei sardi, infatti, secondo gli studi scientifici potrebbe derivare oltre che da fattori genetici anche da una combinazione di fattori ambientali e sociali, dallo stile di vita e dall'alimentazione basata sui prodotti genuini offerti dalla terra e dal mare. Fra questi, appunto, il Cannonau sarebbe un vero e proprio elisir di lunga vita, contenente il triplo di antiossidanti rispetto ad altri vini rossi e garantendo così benefici importanti al sistema cardiovascolare.
Lo stesso Gabriele D'Annunzio se ne lasciò incantare citandolo nella prefazione alla guida Osterie d’Italia di Hans Barth. A Oliena il vate fu accolto come ospite assaporando il ‘nettare’, così lo definì, nella sua versione del Nepente. "Non conoscete il Nepente di Oliena neppure per fama? (...) Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi...", scrisse in quell'occasione.