Nelle nostre comunità si parla, molto spesso, di spopolamento. Un fenomeno, questo, che sta avanzando a vista d’occhio e al quale, purtroppo, non si riesce a trovare una giusta cura.

Uno di rimedi potrebbe essere quello di recuperare, o meglio, valorizzare quello che, secondo molti punti di vista, sono la vera forza, non solo dei piccoli centri, ma anche delle grandi città: la memoria storica, cioè gli anziani.

Sono loro, infatti, i custodi delle storie locali, delle antiche usanze di un tempo. Racconti che, senza di loro, forse non sarebbero mai stati svelati e che riaffiorano quasi all’improvviso, facendo ritornare gli uditori indietro negli anni, in un mondo che, parafrasando un verso riportato in un libro del musicista Paolo Angeli, “Forse oggi non esiste più”.

Uno di questi è zio Agostino Meloni di Ozieri che, domenica scorsa, ha tagliato il prestigioso traguardo del secolo di vita. Lo abbiamo sentito al telefono: la sua voce era quella di un ragazzino e con una lucidità davvero impressionante.

Nato il 22 settembre del 1919, è l’ultimo reduce locale della seconda guerra mondiale. Ha vissuto in una famiglia numerosa (10 figli) e, prima di andare sotto le armi (3 febbraio 1940), si è dedicato a quello che era il lavoro più in auge all’epoca: la campagna.

“Prima ci hanno portato a Oristano per le visite, poi a Trento”, queste le parole di zio Tineddu che, poi, fu assegnato, alla prima compagnia Reggimento ”Cesare Battista”. Da lì poi andò a Varese, per poi fare ritorno nuovamente a Trento. Dopo le soste in Piemonte e Napoli, ecco la trasferta libica, a Tripoli, dove combatté contro gli inglesi: “Come siamo arrivati ci hanno presi come gabbiani”, ha aggiunto. “Siamo arrivati in questo campo di battaglia e loro hanno iniziato a sparare. Noi non avevamo quasi niente. Eravamo 4 compagnie. Il comandante ci diceva: non sparate, altrimenti ci ammazzano tutti.”

Il momento più brutto la prigionia: “4 anni e mezzo. Da prigionieri ci hanno portato in Egitto dove siamo rimasti 16 mesi. Dopo ci hanno spostato in Sud Africa, per 8 mesi”.

“Dopo ci avevano promesso di andare a lavorare in Argentina. Hanno caricato la nave e, dopo 26 giorni di mare, mi sono ritrovato in America, dove ho vissuto 2 anni e mezzo”.

Negli Usa ha lavorato in mensa e in campagna. “Lasciai l’America nel 1945 – ha aggiunto -. Dopo 4 anni e mezzo arrivò l’ordine di rimpatrio. Rientrai a Napoli. Rimasi alcuni giorni lì perché non c’era la nave. Sono arrivato in Sardegna, a Ozieri, e non trovai niente”.

Una tappa importante della sua vita il matrimonio con la sua amata Francesca Zicchittu, che lo rese padre di 5 figli.

Zio Agostino trascorse un anno in Francia ma “Poco lavoro e pochi soldi”, ci ha detto sorridendo.

Poi il suo ritorno a Ozieri, dove si dedica nuovamente alla campagna, per poi lavorare in aziende per la costruzione di strade. A 65 anni arriva la pensione, ma di fermarsi zio Agostino non ne ha nessuna intenzione.

Il ritorno al lavoro nei campi, prima nella campagna di un genero poi in quella di figlio, una vigna nell’agro di Mores, dove vi si recava in macchina fino all’età di 90 anni.

Ora il meritato riposo e questo prestigioso traguardo. “La salute e la tranquillità, non voglio altro”, questo il suo augurio per il futuro.