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Mi ha sempre incuriosito la vita di chi è riuscito a distinguersi e ad emergere dal “gruppo”.
E’ una questione di “carattere” e di circostanze, dell’essere stati “qui e adesso” e del non essere nati in altri “quando” e in altri “altrove”.
E’ una questione di incontri e di incroci di destini.
Se Joyce Lussu non se ne fosse andata nel 1998, nel 2012 avrebbe festeggiato i suoi cento anni dalla nascita.
Una famiglia non comune alle spalle, spirito liberale e ribelle, i tanti viaggi e gli spostamenti che hanno caratterizzato gli anni della formazione: dalla Toscana alle Marche, dalla Svizzera al Portogallo, alla Francia.
La politica e la poesia, la grande forza del narrare e del combattere per gli ideali di giustizia e di libertà: Joyce Lussu ha attraversato i sentieri della vita seminando tracce di storia.
Nel 1938 l’incontro con Emilio Lussu, sotto l’ombrello della “resistenza” negli anni dell’esilio, della clandestinità e della lotta antifascista.
Per lui scrive d’amore e d’essenza:
“LE NOSTRE VITE SONO INTRECCIATE
COME I VIMINI DI UN CANESTRO
COME L’OLIVASTRO E L’INNESTO
COME DUE STORIE RACCONTATE
DALLA STESSA VOCE”
Il “viaggio” si intensifica e la conduce alla scoperta degli “altri”, dei popoli perseguitati senza voce, che parlano con la poesia rivoluzionaria del silenzio.
Le sue traduzioni ne amplificano l’intensità e accendono la luce del mondo sul dolore cupo delle ingiustizie e sull’universalità dell’anima depositaria di sentimento e di bellezza.
Raccoglie la disperazione del popolo curdo “costretto a vivere da straniero nel suo territorio”: ne sposa la causa, rivelandone il dramma.
Joyce Lussu credeva nella pace e in una giustizia possibile.
Credeva soprattutto nei giovani e aveva un dialogo aperto con loro, strumento di futuro e di riscatto.
Ho avuto la fortuna di incontrarla.
Frequentava con una certa assiduità una famiglia di Ovodda e nel mio paese trascorreva lunghi periodi dei suoi ultimi anni.
Ricordo una donna non sempre gentile nel porsi, aperta a generosi dialoghi.
Quando dava forma alle poesie, nel proporle a chi le ascoltava, la sua voce assumeva i contorni dei versi e dei contenuti.
L’aderenza tra il “narrato” e il “vissuto” era totale: ho ancora dentro le cicatrici di quel “passare”.
Tra gli appunti di “biro” tracciati su un vecchio block notes, ho ritrovato una mia vecchia intervista a Joyce Lussu risalente al 10 Ottobre del 1985.
Ero un ragazzino incuriosito dal carisma che una grande donna esercitava su di me.
Trascrivo quelle note tenendo conto del mio entusiasmo di allora, senza apportare aggiunte o correzioni, fedele all’emozione di quel momento e di quell’incontro.
SIGNORA LUSSU, LEI SOSTIENE CHE QUELLO CHE STIAMO VIVENDO NON E’ UN PERIODO DI PACE, MA DI “NON GUERRA”. LA VERA PACE CHE COS’E?
Quando si