All'indomani degli arresti che vedono coinvolti esponenti del Consiglio regionale sardo per le spese fuori controllo del gruppo consiliare, Irene Testa, Radicale sarda da anni stabilitasi a Roma, ha recentemente ha approfondito alcune dinamiche politiche, fino a denunciare, in un libro di cui è coautrice - "Parlamento Zona Franca. Le camere e lo scudo dell'autodichia" - quello che lei definisce un sistema di protezioni istituzionali che garantisce uno scudo impenetrabile agli organi di controllo della giustizia amministrativa nei diversi settori della politica.

 

Irene Testa, può dirci in che cosa la sua attività a Roma può essere un contributo alla gestione della cosa pubblica nella nostra Regione?

Il nostro è un partito che la scorsa legislatura ha avuto una forte proiezione istituzionale, che mi ha consentito - collaborando con Rita Bernardini, l'avvocato Gerardi e altri - di cogliere alcune falle nel regime di controllo sulle spese degli organismi rappresentativi. Per esempio, è nostro l'emendamento 1.24 con cui si chiese di sopprimere il divieto per la Corte dei Conti di visionare i rendiconti delle spese dei consigli regionali. Ora Monti ha introdotto, dopo lo scandalo Fiorito in regione Lazio, un controllo sui gruppi consiliari, ma il Consiglio regionale in sé resta ancora senza controllo contabile. Diciamo che se i gruppi consiliari si mettono d'accordo nel moltiplicare i loro fondi, non ci può essere comunque un controllo a valle della Corte sul consuntivo del Consiglio.

 

Ma come, un partito come il vostro, da sempre minoranza, invece di cogliere nella carica elettiva un'opportunità anche a dispetto delle spese, si dedica a controllarle? Non crede che sia anomalo che, ad invocare le spese libere come costo della democrazia, siano oggi soprattutto i partiti maggiori?

Il fatto è che lo strumento delle maggioranze per finanziarsi, in passato, erano le cariche di governo, mentre alle minoranze erano lasciate le briciole con le spese parlamentari. Ora invece l'Esecutivo soffre di stringenti vincoli di fonte europea, e la tensione autofinanziatoria dei partiti si scarica sulle strutture organizzative delle assemblee elettive: il Parlamento a Roma, i Consigli regionali altrove. Abbiamo visto in pochi anni il consiglio regionale del Lazio decuplicare le spese per i gruppi, con decisioni assunte all'unanimità nel chiuso di un Ufficio di Presidenza dal quale noi Radicali eravamo esclusi. L'alibi dei costi necessari per la politica è stato invocato in modo bipartisan, da eletti che non hanno molto altro da fare, visto che oramai si vota per vincolo di obbedienza verso l'esecutivo senza neppure leggere le leggi sottoposte al consiglio o alla camera.

 

E allora voi...?

Noi siamo sempre stati perché la competizione elettorale fosse genuina e non alterata dal peso dei soldi. Se poi lo spreco è direttamente funzionale alla tasca del consigliere regionale, invece che per il partito, questa per noi è un'aggravante. In ogni caso, la scena sconfortante dell'ingresso della Guardia di Finanza nelle sedi dei consigli regionali è la prova di un fallimento della democrazia.

 

Ci dica la verità, quella scena a Roma non l'ha mai potuta vedere...

Li' il problema è più grave, perché dietro l'immunità di sede e l'autodichia si cela un meccanismo ancor più diabolico, che tutela le Camere e gli altri organi costituzionali ben oltre il profilo contabile.  Ma finché siamo stati rappresentati in Parlamento non abbiamo avuto timori reverenziali: Emma Bonino ha guidato il voto contrario, sulla decisione del Consiglio di Presidenza del Senato di vietare l'accesso dell'ispettore del lavoro ai (pochi) contratti dei portaborse; Rita Bernardini ha proposto il dise