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Dipende dai punti di vista, ma di certo noi italiani potremmo essere un popolo migliore rispetto allo stato attuale. Che comunque non è dei peggiori, se iniziamo a guardarci intorno. Sappiamo benissimo quali sono le nostre magagne, i nostri endemici limiti. Anzi, è proprio la consapevolezza di avere ancora ben radicati, e troppo spesso deleteri, i nostri capricci, le nostre divisioni, nostri egoismi e tornaconti personali a tutti i livelli, che ci fa dire che forse siamo anche un popolo di miracolati.
Senza gli atti di coraggio e di eroismo dei nostri padri, saremmo qui, oggi, a raccontare, forse senza neanche poterlo fare, di un popolo non libero, non democratico e poco distante da quei Paesi, geograficamente anche vicini, e che sono da aiutare, in cui ancora oggi si lotta per la libertà e la dignità umana mai avute.
Definiti i confini nazionali e conquistata la democrazia grazie alla forza e al sacrificio estremo dei nostri combattenti e uomini della resistenza della prima e della seconda guerra mondiale, avremmo dovuto, ma non l’abbiamo mai fatto - con le conseguenze della crisi devastante in cui oggi è caduto, in gran parte per nostra imperizia, il nostro Paese - dare concretezza ai diritti e ai principi fondamentali sanciti dalla nostra Carta costituzionale.
Quali siano i fronti di casa nostra su cui bisogna fare breccia e sconfiggere il nemico, spesso invisibile, sono noti, anche se sugli effetti dei bubboni sociali (ndrangheta, mafia, camorra, corruzione, ecc.) che affliggono l’Italia si grida facilmente alla sorpresa e allo scandalo. Così come senza la necessaria maturità e responsabilità si pensa che, stando a come ci presentano il menù i camaleontici e ammiccanti partiti e movimenti, da un momento all’altro si possa diventare improvvisamente tutti santi e anime innocenti.
La nostra politica nazionale, perso lo slancio e le intese responsabili che ogni deriva, stato di calamità ed emergenza determinano e che dura fino a quando non inizia la normalità, soprattutto negli ultimi trent’anni si è caratterizzata per fatti e omissioni che nulla avevano a che fare con quel cambio di marcia che ancora non c’è stato e con cui bisogna fare i conti se si vuole un Paese migliore.
C’è una parola “magica” che si chiama cultura, ma quella dell’efficienza, del senso dello stato, della giustizia e della solidarietà. Tutto il contrario di quella di cui è stato fatto sfoggio finora, finalizzata a mantenere uno status quo fatto di tornaconti personali e di rendite individuali incompatibili con l’idea del bene comune e del rispetto reciproco dell’uomo verso l’altro uomo.
La frase più sciagurata, e l’abbiamo sentita negli anni come un ritornello da politici vacui ma sempre in sella, è quella per cui “con la cultura non si mangia”. Certo, la cultura, intesa nella sua totale positività, non si può comprare al mercato. Il motivo è semplice: non si può scindere dalla persona, dalle sue fondamenta, ovvero dai suoi valori etici e morali. L’Italia ha bisogno di uomini di tale statura. Ce ne sono, in minoranza, però, che è , purtroppo, ancora troppo silenziosa.
Come invertire la rotta? È ovvio, investendo, dunque, in cultura e in modo serio e concreto, come mai avvenuto finora. Ciò significa puntare alla crescita e alla formazione, innanzitutto attraverso la famiglia e le scuole primarie, di uomini di valore. S’inizia così, da bambini.
Siamo al 2015, ad maiora, Italia. Auguri a tutti lettori da Sardegna Live.