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Come al solito, tutto quanto riguarda l’ex premier Silvio Berlusconi divide e unisce. Dal 1994 è stato sempre così, in un rapporto di amore e odio che però, va detto, si è radicato ed è durato negli anni più che nella classe politica, votata alle convenienze di bottega, nella vasta platea degli elettori dell’una e dell’altra parte.
Tutti incanalati ad arte soprattutto in occasione delle scadenze elettorali (che in Italia sono ricorrenti), quando gli schieramenti vengono presentati in uno scenario di guerra. Che è quello che poi esalta gran parte degli elettori, che trasforma la partecipazione o passione politica in tifo da stadio, animato e sostenuto da eccessi e degenerazioni.
Non si sono mai visti generali di eserciti opposti brindare e fare banchetto insieme. In politica invece sì. Gli stessi incontri, in cui almeno le abitudini luculliane risulta che non abbiano prevalso, tra il presidente del Consiglio-Segretario Pd, Matteo Renzi e l’ex premier Silvio Berlusconi sono l’esempio più recente. La diplomazia, olio nel motore di un sistema democratico, richiede, è vero, incontri e abbracci, ma questo, nel nostro Paese, è un affare dei rappresentanti politici, mentre gli elettori si devono chiamare popolo dei “comunisti” (pallido ricordo rispolverato quando serve) da una parte e dei “cristiani” dall’altra.
Così, con due popoli mobilitati e armati l’uno contro l’altro, il copione si è ripetuto qualche giorno fa subito dopo la sentenza di assoluzione di Silvio Berlusconi da parte della Corte di Appello di Milano. Innocentisti e colpevolisti si sono dati battaglia, ma non negli stati maggiori dei due schieramenti convenzionali - dove, a parte qualche eccesso, nessuno ha voluto sbilanciarsi più di tanto - bensì ancora una volta nelle file delle truppe.
Visto tutto in chiave politica, è chiaro che del codice penale resta ben poco. Per le parti contrapposte, il giudice è un politicizzato e basta, senza appello, buono per gli uni , ma non per gli altri, a seconda delle sentenze rispettivamente favorevoli o contrarie.
Fortunatamente, tra le tante sfortune, in Italia c’è un terzo popolo, che è quello dei non schierati e dei non travolti dal tifo e dalle contaminazioni della politica con la p minuscola. Forse è questo il popolo della speranza, chissà.