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La morte di Giulia Cecchettin ha smosso una nazione intera. Per una settimana i cittadini italiani hanno sperato che la ragazza fosse viva, forse prigioniera, ma salva. Conosciamo però l’epilogo della triste vicenda: Giulia non tornerà più nella sua casa e Filippo Turetta, terminata la sua fuga, il 19 novembre è stato arrestato in Germania e a breve verrà trasferito in un carcere italiano.
Ma questa storia è diversa dai tristi casi precedenti. È diversa la discussione che si è alzata dopo la scoperta della morte di Giulia, è differente il grido di dolore dei famigliari della vittima, è cambiato lo sguardo verso un femminicidio. Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, ha dichiarato: “Filippo non è un mostro, è il vostro bravo ragazzo”. Grazie a queste parole, pronunciate lucidamente e pubblicamente, oggi si dibatte sui concetti quali la cultura dello stupro, il patriarcato, e l’educazione sentimentale come possibile risoluzione. Dopo tali parole molti genitori si sono domandati "E mio figlio? come posso aiutarlo?"
Abbiamo quindi voluto interpellare un’esperta in relazioni tossiche e dipendenze affettive, la psicologa Claudia Demontis che svolge la sua professione in Sardegna nel comune di Quartu Sant’Elena e Cagliari. Con lei abbiamo cercato di approfondire il tema e capire come l’educazione sentimentale, di cui tanto si dibatte, potrebbe aiutare le nuove generazioni.
Dottoressa ci può spiegare cosa è l’educazione sentimentale?
“Ricevere un’educazione sentimentale significa educare alle emozioni, alle differenze, al rispetto, alla comprensione e all’empatia per permettere ai ragazzi di diventare da adulti persone con un’anima e una coscienza. È importante imparare a conoscere non solo le emozioni che ci fanno stare bene, come la commozione o l’amore, ma anche quelle più accese come la rabbia che non va trattenuta, ma ascoltata, verbalizzata e gestita”.
Quale potrebbe essere l’utilità?
“Una buona educazione sentimentale permette prima di tutto di sviluppare una buona intelligenza emotiva che ci consente di ottimizzare le tante risorse che possediamo, aumentare il livello di empatia, quindi, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Questo consente di guardare la realtà attraverso diversi punti di vista, insegnando quindi a essere più predisposti al confronto e allo scambio”.
Quale figura professionale sarebbe ideale per impartire tali lezioni nelle scuole?
“Sicuramente una/o psicoterapeuta o una/o pedagogista”.
Se fosse introdotta come disciplina scolastica, potrebbe influire anche nei rapporti con i genitori e la famiglia?
“I primi feedback di tale disciplina verrebbero proprio dalla famiglia, l’ambiente in cui si sperimentano per la prima volta i vissuti emozionali! Si dice spesso che i giovani non hanno più valori, che pensano solo a loro stessi, che non hanno ambizioni e voglia di progettare. Ma spesso non ci fermiamo a riflettere che forse gli adulti, a casa o a scuola, non hanno fornito loro gli strumenti necessari per comprendere cosa avviene nella loro testa. Non sanno cosa provano e di conseguenza non sanno gestire quei sentimenti dei quali non conoscono nemmeno l’esistenza”.
Da quale età gli studenti potrebbero studiarla?
“Sarebbe opportuno inserirla come materia di gioco a partire dalla scuola materna e solo in seguito considerarla materia di studio poiché, nella prima infanzia, siamo soliti gestire come possiamo le emozioni che affollano quotidianamente la nostra mente. Attraverso il gioco è possibile imparare a controllare queste manifestazioni che a volte sfociano in reazioni considerate eccessive solo perché non si hanno gli strumenti più adatti per poter comprendere cosa sta succedendo dentro di noi”.
Cosa possono fare, invece, i genitori?
“I genitori hanno un compito fondamentale che nessun insegnante o baby-sitter (come spesso si pretende) può sostituire: soddisfare i bisogni emotivi dei propri figli prima dei bisogni materiali. Creare una rete di protezione attorno al bambino, lasciandogli però scoprire il mondo in autonomia è fondamentale perché sviluppi la propria forza, una buona autostima ma soprattutto l’Indipendenza dai genitori e dalle figure di riferimento. Sostenere in caso di difficoltà fornendo le indicazioni su come migliorarsi; supportare e fornire rinforzi positivi per ogni risultato o obiettivo raggiunto e fornire una educazione non autoritaria ma autorevole, con regole chiare”.
Parlando dei genitori di Filippo Turetta, gli stessi hanno raccontato di non essersi mai accorti che il figlio si sarebbe potuto macchiare di un crimine così grave in quanto ragazzo “normale” e studioso. Su cosa dovrebbero concentrarsi i genitori quando osservano il comportamento dei loro figli e cosa spesso si sottovaluta?
“Nel caso di Filippo e Giulia si entra nel territorio della dipendenza affettiva, in quanto se in adolescenza non si sviluppano solide risorse personali, in situazioni difficoltose e di incertezza, ci si avvicina al mondo delle dipendenze. Solo grazie all’amore, alle attenzioni, alla vicinanza emotiva e, soprattutto, al dialogo e al confronto, i genitori possono cogliere nel minore, soprattutto se adolescente, campanelli di allarme o segnali di disagio, come la ricerca di sensazioni forti, annoiarsi facilmente, chiudersi in sé stessi e isolarsi dal gruppo dei pari, rimanere fuori casa per lunghi periodi , dimostrare ansie e preoccupazioni senza motivo, presentare disturbi alimentari o depressioni, l’essere vittima di violenze o bullismo, mettere in atto atteggiamenti prevaricanti e violenti anche nei confronti dei genitori”.