Io sono un'isola antica.

Ora dormono i miei vulcani. Ma tanto tempo fa mi hanno surclassata e livellata. 

Le mie montagne sono brulle, spropositate rispetto alle valli, segno di un orogenesi antica.

Mi chiamarono isola di Sardo i greci, e Ichnussa. I romani mi ribattezzarono Sandalia, perché sembro un piede, un'impronta, nel mare antico di mezzo.

Ho torri ciclopiche nel mio seno, che sono nuraghi, nurras, ammassi di pietra, sovrapposti, e nel mio antro città sotterranee scavate nel tufo e nel calcare, che chiamo domos, le case.

La mia lingua preziosa è la più antica delle nove sorelle romanze. 

Possiede suoni arcaici, e dolci, aspirazioni e nasali ridondanti e un sibilo armonioso nel suo scorrere, che a sud diventa un tam tam.

Sono ricca di pietre, d'argento e di sale. 

E' il mio unguento di pace da' da vivere a lungo i miei abitanti.

Sono solo lenta. Selvaggia, è bello scoprirmi. Ancestrale.

Le mie baie e i miei arenili sono gemme preziose e il mio mare è color del cielo.

Le mie falesie cadono a picco surclassandosi in isole e scogli.

Ammalio le persone e le ammalo di quel mal di Sardegna del quale i miei figli soffrono.

Povera ma dignitosa, rispetto più il forestiero che me stessa. 

Perché ho voglia di comunicare, quello che non capisco.

Gli occhi azzurri dei miei abitanti dei monti, sono di un indefinito oltremare e quello nero pece dei miei figli marini mi ricorda di quanto sono stata orientale e multietnica.
Oggi sono vuota di gente. Sopravvivo con poco.

Ma sono sempre vigile. E pronta per chi mi attraversa.

Perché il mio cuore di granito in fondo, è un pezzetto di morbido pane lentu.