Cosa ne sarà della salma di Priebke? Questa è la domanda che ricorre in queste ore cosi ricche di risentimento e disprezzo da una parte e di un insensata esaltazione dall’altra, il tutto condensato da una imperante ipocrisia.

 

Erich Priebke nato nel 1913 ad Hennigsdorf, una cittadina  del Brandeburgo nel circondario dell’Oberhavel, a vent’anni aderisce al partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi diventandone un attivista talmente fanatico da essere incorporato nel famigerato corpo delle SS tedesche. Divenuto capitano, Erich è l’ufficiale che in Italia è secondo solo al comandante in capo Kappler e tiene i rapporti con il comando della GNR. Uomo dal carattere duro, irrispettoso e arrogante si evidenzia da subito anche per i rapporti burrascosi con gli stessi alleati italiani oltre che per l’antisemitismo esasperato che si traduce in continui rastrellamenti e violenti interrogatori da lui stesso condotti.

Il 23 marzo 1944 è lui ad ordinare, per rappresaglia contro l’attentato di via Rasella a Roma, la strage che passerà alla storia come quella delle fosse ardeatine, dal nome delle cave dove si consumò il feroce assassinio di 335 inermi civili.

Finita la guerra il giovane Erich fugge dall’Italia, aiutato pare da alcuni esponenti della chiesa oltre che dalla nota organizzazione ODESSA. Rifugiatosi in Argentina dove trova protezione per tanti anni, diventa invisibile agli occhi del mondo tanto da sfuggire per lungo tempo anche ai servizi segreti israeliani. Il suo arresto è storia recente, avvenuto solo grazie ad una troupe televisiva che si è interessata al caso, seguito poi dall’estradizione e dai processi per crimini di guerra in Italia.

Questa è in breve la storia di un criminale spietato e senza cuore che nell’immaginario collettivo è lo specchio fedele di quelle immagini viste nel “Il pianista”. Una scena di questo film vede un ufficiale tedesco che ferma la colonna di un gruppo di ebrei che marciano ai suoi ordini. Tra tutti sceglie 6 uomini, le intima un passo avanti  e fatti inginocchiare li ammazza a sangue freddo con un colpo di rivoltella alla testa. L’ultimo uomo attende la morte qualche secondo di più, l’ufficiale ha terminato le pallottole e deve sostituire il caricatore. Immagini strazianti che per l’epoca sono il quotidiano e che il delirio di onnipotenza porta in alcune menti umane la certezza che degli uomini possano morire quasi come se fossero una formalità da sbrigare. Magari una sorta di schiaffo che si dà ai bambini per educarli o per educare i presenti. Questo era Erich Priebke, questo era l’uomo che per anni ha vissuto indisturbato realizzando quelle soddisfazioni che a quelle vittime sono state negate: famiglia, figli, una vita serena.

Oggi che Priebke è solo un cadavere che vaga senza meta nessuno lo vuole più, nessuno vuole più neppure le sue ceneri, nessuno vuole più dargli una cristiana sepoltura quasi fosse questa la grande colpa. Quasi che rifiutando il suo cadavere ci si lavi dalle responsabilità per averlo accolto e protetto quando ancora con le mani grondanti di sangue poteva essere condannato e pagare per quanto aveva commesso. Responsabilità per chi aiutandolo nella fuga dal giusto processo intende oggi coprire la mancata contrapposizione a tutti i regimi totalitari imperanti all’epoca. Responsabilità del suo paese di origine, che pur avendo attualmente una classe dirigente  che poco ha a che vedere con quella di allora, resta volente o nolente il successore di coloro che senza nulla celare autorizzarono la sciagura di cui il mondo è testimone. Certo Erich non era parte neppure dell’operazione Valchiria, ma era comunque un militare che se pur privo di qualunque minimo briciolo di umana pietà, nella sua mente aleggiava un fanatismo sanguinario che era pur sempre sostenuto da un autorizzazione che gli veniva dalla sua patria.  

Che faremo allora quando a morire sarà il ragionier Andrea Pizzocolo che ti tale autorizzazione neppure godeva?

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