L'unico errore è definirlo, come ha fatto Repubblica, "l'uomo che sapeva tutto". Perché il primo ad essere consapevole che nella vita non riusciremo mai a sapere tutto era proprio Umberto Eco.

Più volte, nei suoi articoli e nei suoi saggi ma pure nei suoi romanzi, lo scrittore ha sottolineato che la memoria è sinonimo di intelligenza solo se è in grado di effettuare, con accuratezza, una selezione dei dati ricevuti attraverso la lettura e l'ascolto.

Chi al contrario accumula acriticamente, a mo' di pappagallo, una quantità smodata di nozioni non può dirsi intelligente.

E attenzione: questa consapevolezza che nessuno, nemmeno una testa come la sua fosse capace di trattenere tutto lo scibile non lo rattristava affatto, ma anzi lo esaltava, perché questo significava che avrebbe potuto continuare a leggere all'infinito, e ad apprendere nuove cose ogni santo giorno che Iddio mandava in terra.

Ci sono persone, come Umberto Eco, che fino all'ultimo non smarriscono la voglia di imparare ciò che non sanno, e queste persone muoiono a 84 anni lasciando un'eredità enorme. Altre invece sono convinte, magari già a 20 anni, di avere il quadro completo, e questi individui continueranno forse a vivere fino a cent'anni ma alla stregua di zombie non pensanti, non consegnando oltretutto alcun lascito ai posteri.

Ora che non c'è più, gli perdono fraternamente quella volta lì che alla mia richiesta di un'intervista mi liquidò frettolosamente, come si fa coi ragazzetti che non hanno niente di così importante da dire. E sapete perché lo perdono? Perché effettivamente, al tempo, ero proprio un ragazzetto che non aveva alcunché di significativo da domandargli. Adesso come adesso forse sarebbe diverso, ma non ha alcuna importanza.

L'essenziale è altro, ovvero che durante questo week-end ho riletto con piacere e sincero godimento "La misteriosa fiamma della regina Loana".