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All’apparenza sembra uno dei tanti ‘scheletri’ del passato, luoghi ideali per gli amanti della fotografia del degrado, ma anche di ladruncoli in cerca di rame o cos’altro e di saccheggiatori idioti che giorno e notte vandalizzano ogni cosa. Invece, proprio adiacente al mastodontico centro commerciale Metro, sulla viale Elmas, c’è un’icona dimenticata da tutti.
Si tratta dell’ex Editar, la stamperia italo-araba spa che in passato è stato anche centro stampa di Tuttoquotidiano sino al 1979; poi la chiusura del quotidiano sardo e successivamente, di proprietà della Grafiche Elmas sino al 1983, la gerenza vera e propria passa alla Editar che chiude nel 2005, con la vendita dei macchinari e l'abbandono definitivo degli edifici.
Degrado e rifiuti
Da allora, polvere, degrado, gigantografie del Colonnello Gheddafi e migliaia di scartoffie, macchinari, ampi saloni con rifiuti tossici e pericolosi fanno bella mostra di sé in un luogo tetro e accessibile a chiunque sia troppo curioso o cerca (per rivendere nei mercatini dell’usato) ferro, rame o vecchie stampe in bianco e nero.
Aperto a chiunque
Senza scavalcare e ne tanto meno forzare porte o spaccare lucchetti e catene, ignoti entrano da un pertugio seminascosto lungo il perimetro dell’area-fantasma. Una volta superato quell’ingresso obsoleto, nessun cartello, telecamera o vigilantes blocca l’accesso in quel luogo di memorie ma anche di morte: nel 2017, da un’altezza di poco meno di dieci metri, scivolò dal tetto di un edificio un uomo e morì.
La storia
Tra i cenni storici di quella realtà sarda ormai in archivio, sono i fotografi Roberto Palmas e Filippo Montis a raccontare e delineare cosa accadde in quel sito. La storia dell’Editar ha inizio nel lontano 1979 dopo la dismissione e la chiusura di ‘Tuttoquotidiano”, spazzato via dopo la bancarotta. Il giornale autogestito chiude e chi ha in carico il patrimonio deve trovare l’acquirente che compri e saldi la partita.
Anni di aste deserte, poi un'offerta importante che potrebbe cambiare le sorti di quel rudere: Mohamed Mustafà Bazama, professore ed intellettuale libico, occidentalizzato ma anche un imprenditore geniale compra in blocco l'immobile e rileva anche la testata giornalistica e decide di "stampare libri e volumi di tutte le scuole arabe.
Finalmente furono assunti ex tipografi, tre giornalisti, amministrativi e tecnici. Nella metà degli anni ottanta, ad Elmas arriva la Lafico, il fondo di investimento statale libico e nel 1983 avviene il passaggio dalle Grafiche Elmas all’Editar e tutto si espande: investimenti milionari, vendite a go go con utili annuali che toccano livelli altissimi.
Ma l'Editar eredita anche ciò che con il Colonnello Gheddafi si porta dietro, con luci e ombre e paure per terrorismo, armi letali e gas nervino: inevitabilmente la grande azienda italo-libica nell'Isola risente del pesante clima così come nel resto della Penisola.
I fatturati crollano, da li in poi il futuro dell'enorme stamperia cammina con le 'stampelle'. L’atto finale si concretizza a cavallo tra il 2004-2005, quando l'Editar (pagando stipendi, emolumenti e chiusura rapporto lavoro con le maestranze), dismette lo stabilimento. Da allora il deserto, meglio, nulla più di quell'enorme impero che oggi appare come un sogno svanito. Capitolo chiuso, oggi è un eco-mostro incastrato nel tessuto commerciale e artigianale della zona.
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