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Come tutti gli anni l'autunno porta i suoi frutti: dapprima il vino nuovo, poi le castagne, i funghi, le zucche, lo sciopero!! Non lo sapevate? In Italia è un frutto di stagione, quasi del tutto endemico, considerato che ci ritroviamo le più alte percentuali di giornate dedicate allo sciopero del panorama mondiale. Ma è pur vero che ciò potrebbe essere connaturato ai problemi che ci affliggono: sicurezza nel lavoro assente, salari sotto la soglia di povertà, tutele inesistenti per i lavoratori!!! Ma stiamo parlando dei problemi italiani o di quelli cinesi, indiani o afgani?
Va beh!! Scherzi a parte, il diritto di sciopero è parte integrante del nostro DNA, oltre che contemplato dalla nostra Costituzione che lo considera fondamentale. Ed obbiettivamente parlando lo è davvero, perché in passato ha permesso di ottenere quei risultati in termini di civiltà, di cui parlavo prima in maniera ironica, che in altre zone del mondo sono realmente un'utopia per ora irraggiungibile.
Il problema però, come tutte le cose, nasce nel momento in cui si esagera. Ma soprattutto quando, chi esercita un fondamentale diritto qual’è quello dello sciopero, non rispetta i diritti del prossimo calpestandoli senza un minimo di correttezza.
Nel 1990 il nostro legislatore, pur in presenza di numerose proteste dei soliti noti, emana la prima legge dedicata allo sciopero dei servizi pubblici essenziali. Con tale legge, che poneva una prima pietra, si volle sancire il contemperamento del diritto di sciopero con altri diritti di pari rango costituzionale. All'art 1 venivano indicati i servizi essenziali interessati: trasporti, sanità, sicurezza, informazione e non da ultimo l'istruzione. Purtroppo, come il detto popolare recita: “fatta la legge, trovato l'inganno”. Cosi soprattutto alcune sigle sindacali, quelle cosiddette di mestiere, proclamavano lo sciopero e poi nella sua immediatezza lo disdicevano in modo spesso sistematico.
Il danno era incalcolabile: nel giorno in cui lo sciopero era previsto, gli aerei viaggiavano vuoti, mentre le compagnie dovevano comunque pagare la relativa retribuzione ed i costi connessi all'erogazione del servizio. Stessa scena si presentava negli ospedali, nei poliambulatori oppure nelle scuole. Vista la situazione, dieci anni dopo, esattamente nel 2000, il nostro legislatore, con l'accordo delle confederazioni sindacali più rappresentative, è corso ai ripari, introducendo l'obbligo di comunicare preventivamente e per iscritto almeno 10 giorni prima, la durata, le modalità e gli orari, oltreché le motivazioni dell'astensione collettiva dal lavoro. Inoltre per evitare il cosiddetto “effetto annuncio”, causa come abbiamo visto di enormi danni, istituiva il divieto della cosiddetta “forma di sleale condotta sindacale”.
Quella condotta cioè, che mira, non all'effettivo sciopero, ma solo a creare un danno per il datore di lavoro e per gli utenti stessi, i quali nel frattempo si sono organizzati rinunciando al servizio. Negli ultimi anni dunque, pare che nei settori dei trasporti e della salute si siano eliminate quelle forme di sciopero a singhiozzo, a scacchiera o ad oltranza, le quali obbiettivamente superavano ogni limite alla pubblica decenza e alla pazienza degli utenti. Eppure, in un angolo remoto, esiste ancora qualcuno che se ne frega degli obblighi legislativi. Stiamo parlando della scuola, la quale per tutta risposta agli obblighi di comunicazione preventiva di modalità e orari oltreché motivazioni, risponde con gli annunci da far firmare ai genitori che vedete nella foto.
Un annuncio che per rispettarlo i genitori si sono dovuti organizzare con i camper o, per chi da giovane ha fatto il Boy scout, con le tende piazzate nel cortile della scuola. Del resto, di questi tempi fare il “tassinaro” che va e che viene ad ogni ora o due, è diventato troppo oneroso. Immaginate il disagio di genitori che lavorano a 20, 30 o 100 Km di distanza dalla scuola e, andando oltre con l'immaginazione, chi ha 3 o addirittura 4 figli, magari in scuole diverse con annunci e orari differenti. Beh credo che il giorno, per mamma e papà, di lavorare non se ne parla proprio, anzi, a seconda della situazione dov