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Il 1 marzo del 2012 ci ha lasciato uno dei più grandi poeti della canzone italiana. Il 4 marzo, in occasione del suo compleanno, notte bianca a Bologna con la partecipazione degli amici di sempre. Lo stesso giorno nascerà la “Fondazione Lucio Dalla”.
Commozione tanta, enorme, ma anche sorpresa. Tutto ci si poteva aspettare, quell’1 marzo di due anni fa, tranne che l’artista più vitale del panorama musicale italiano –ma forse anche internazionale- avrebbe lasciato il soggiorno terreno così frettolosamente. Col senno di poi, un finale in perfetta consonanza con la sua personalità: Lucio amava condividere la sua creatività col vasto pubblico, ma sulle questioni più intime –e la morte, più di ogni altra, lo è- riservatezza assoluta. L’intenzione era quindi di dire addio in silenzio, ma sapeva benissimo che la cosa non sarebbe passata inosservata: difatti per giorni, in Italia, non si è parlato d’altro. Purtroppo poi, in un paese come il nostro aduso a pizzicare le corde del gossip, era inevitabile che saltasse fuori –pure in maniera scomposta, tipico alle nostre latitudini- il “dibattito” sulla sua omosessualità. Aspetto di cui mai –proprio per la discrezione di cui si diceva sopra- voleva parlare nelle interviste, né accennarne nelle sue canzoni. Una nota stonata, stonatissima, quel chiacchiericcio attorno alle preferenze sessuali di Dalla; proveniente da gente che, pur avendo ascoltato molte volte L’anno che verrà, non si è mai soffermata abbastanza sul verso E si farà l’amore ognuno come gli va.
C’è un punto, molto più interessante, che è passato abbastanza in sordina: alle 12.10, ventitré minuti prima dei lanci d’agenzia, i frati della basilica di San Francesco d’Assisi hanno dato per primi, con un tweet, la notizia della scomparsa del cantautore. Una fonte simile, purtroppo, non poteva che essere più che attendibile. Non tutti ne erano a conoscenza, ma Dalla è stato un cattolico convinto. Naturalmente la sua era una fede vissuta in maniera molto personale, da spirito libero poco avvezzo all’ortodossia dei dogmi. Ecco perché nell’arco della sua vita si era avvicinato ai francescani: riconosceva in loro una limpidezza morale, un’attenzione autentica ai bisogni dei più deboli. Possiamo dirlo senza paura di essere smentiti: Lucio Dalla avrebbe apprezzato moltissimo l’anticonformismo, la sincera compassione caritatevole dell’uomo che, una volta divenuto Papa, ha scelto di chiamarsi come il poverello di Assisi; uno come lui, che cantava A modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io, avrebbe sentito un’empatia immediata col pontefice argentino, intenzionato a portare avanti il processo “rivoluzionario” avviato da Giovanni XXIII -il Papa che invitava i fedeli a dare una carezza ai bambini. Non è da escludere, inoltre, che “l’uomo che sussurrava al futuro” –questo il titolo, azzeccatissimo, di un libro dedicato al cantante- avesse capito, già in tempi non sospetti, che la Chiesa cattolica era pronta a una svolta epocale, con un religioso “venuto dalla fine del mondo”.
Due anni dopo, cosa rimane del genio bolognese? A parte la sua presenza in carne e ossa –di cui si sente, eccome, la mancanza- per il resto di lui è rimasto tutto. La vena poetica che toccava le corde del cuore; la capacità di usare un linguaggio diretto, senza mai risultare stucchevolmente provocatorio; la creatività inesauribile, dispensata anche in ambiti artistici extra-musicali: questa è la sua vera eredità, molto più considerevole dei lasciti economici –di cui i media hanno parlato a lungo: occasione ghiotta per soffermarsi su un aspetto secondario, difatti non se la sono lasciata sfuggire.