I suoi “fili” hanno legato per sempre l’arte che non si può recintare.

Maria Lai se n’è andata in un giorno di sole e con i colori aperti di una Primavera in fiore.

Giocava con la vita, e la fantasia che popolava il suo esistere, ha reso migliore il mondo.

E’ la sorte dei grandi, che parlano il linguaggio di Dio (mai distratto!), interpreti del nuovo e del bello.

Maria era la poesia, espressione di un sentimento universale.

Lo stupore lo ha ritratto nelle sue opere, nei suoi libri ha rinchiuso lo spirito che veleggia in ognuno di noi.

I suoi occhi avevano un taglio particolare, quasi geometrico e sempre pieni di luce.

Nel viso irregolare, tante rughe avevano tracciato il segno, ma l’età non era in avanzo.

Sorrideva di malinconie, respirava come l’aria pura, si rifugiava nei ritorni dell’infanzia che in fondo non aveva abbandonato mai.

Ha attraversato la vita a piedi nudi, per non pestare la terra, come chi vola dentro le ali di un sogno.

Una sera l’ho incontrata a Mamoiada per il Premio “Viseras”: è stato come entrare in quel sogno.

Avevano gratificato lei per la sua arte, e me per il piccolo contributo offerto alla divulgazione della cultura popolare. Quel giorno mi vive dentro!

Le sue mani piccole, che avevano “scolpito” l’inesauribile, si perdevano dentro le mie.

Non ricordo le parole: nei gesti c’era il delicato conforto di un’accoglienza. Restano le sensazioni.

Amava ripetere: “Per un artista l’arte è la risposta alle sue inquietudini”. E ancora: “Se l’opera riesce a scatenare dialoghi, vuol dire che l’opera “parla” altrimenti continua a restare muta, chiusa nella scatola”.

Il suo lungo viaggio si esaurisce con l’ultima fermata: dalla Stazione dell’Arte all’Arte nell’eternità.

Se ci sarà un “dopo” di questa vita, ci sarà anche uno spazio di cielo più liquido e azzurro da intingere di meraviglioso e di fantastico. Tra inserti di nuvole rosa.

 

Giuliano Marongiu

Ovodda 16 Aprile 2013