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E’ originario della terra dello scrittore Giuseppe Dessì, a Villacidro. E sono proprio i racconti letterari della nonna materna Assunta Fonnesu che fanno ampliare la curiosità per il mondo che lo attornia. Massimo Zaccheddu raffigura uno scorcio di Sardegna in Piemonte, la Regione che gli ha dato i natali nel vercellese, a Santhià. E’ cantautore e proprio dalle espressioni di Dessì ha tratto spunto per le sue ponderazioni sonore. L’esempio più palese si manifesta con il brano “La mia piccola patria”, che parla dell'amore che i sardi emigrati percepiscono nel momento in cui si discostano dalla terra madre.
Perché è anche questo lo status quo di Massimo: sentirsi emigrato di una terra disgiunta. Il suo percorso discografico è arrivato all’apice nel 2007 quando ha inciso “No potho riposare” dove in sardo ha prevalentemente raccolto contesti sonori folk, pop, rock, blues. Folgorato dall’esecuzione del brano tradizionale “Deus ti salvet Maria”, ascoltato per la prima volta dal disco di Fabrizio De Andrè, ha cominciato a scoprire che poteva assimilare suoni che potessero far vibrare parole con fonetiche molto vicine alle emozioni ascoltando la libertà vigorosa che solo la musica può trasmettere.
Massimo si è fatto conoscere in tutto il nord Italia suonando spesso alle iniziative dei circoli sardi della F.A.S.I. Lui stesso che ama definire le composizioni melodiche come “un vento di gioia che soffia tra le menti in un momento di riflessione”, ci racconta i primi approcci con la musica: “a cinque anni avevo costruito una rudimentale batteria, con dei fustini in cartone recuperati dai detersivi e dei piatti da cucina, utilizzando dei mestoli di legno come bacchette. E già lì andavo a tempo”.
Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista? “Più che musicista, mi definisco un libero pensatore della parola, che ha scoperto che la musica ha un cuore che batte con lo stesso tempo con cui la parola scandisce ogni suo libero suono”.
E c’è un tipo di sonorità che ami di più? “Le armonizzazioni vocali, che abbinate alle emozionanti scansioni melodiche, riattivano la voglia di ascoltare le parole e quei significati trasmessi dall’emissione del suono.”
Ha ancora un significato oggi la parola musica? “Si fa musica per amore della stessa, il guadagno più grande è sempre l’esecuzione di un brano che si è inventato con parole che trovi nell’aria, che sembrano catapultarsi in maniera naturale in quel vestito chiamato arrangiamento.”
Tra i molti dischi che hai ascoltato ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato? “Sicuramente ‘L’indiano’ di Fabrizio De Andrè, che ha ancora quel sapore emotivo che al suo ascolto fa vivere quei momenti della sua esperienza della mancata libertà. Il momento più grande della riflessione di quei tristi pensieri che ne hanno lasciato una traccia universale.”
Massimo Zaccheddu ha un curriculum di riconoscimenti musicali di prim’ordine. Ne segnaliamo qualcuno: finalista del Premio Faber, dedicato proprio al suo “mito” De Andrè con il brano “Storie”; ha scritto e interpretato "O sant'Ignazio da Santhià", inno al Santo che è stato canonizzato nel 2002; ha partecipato al Festival della canzone sarda di Sestu (Ca), con il brano "Ninniu" riproposto in diverse trasmissioni radiofoniche della RAI. Finalista del quarto Festival nazionale di Biella per etichette indipendenti. Vince il premio della critica al festival di Vercelli. Partecipa a varie trasmissioni radiofoniche e televisive quali “Sardegna Canta” presentata su Videolina da Ambra Pintore.