PHOTO
Roma, 18 ott. (Adnkronos Salute) - Medici internisti 'sull'orlo di una crisi di nervi' con "un sistema sanitario tutto da rivedere" perché "ormai siamo vicini al punto di collasso". Lo denunciano gli esperti della Società italiana di medicina interna (Simi), alla vigilia del congresso della società, in calendario a Rimini dal 20 al 22 ottobre, dal quale arriva l'appello ad affrontare le crisi che affliggono il settore dalla carenza di medici, soprattutto specialisti, alla fuga dagli ospedali, al burn out dei medici, ai pronto soccorso in crisi.
"La carenza del numero dei medici - afferma Nicola Montano, presidente eletto della Simi – non si risolve togliendo il numero chiuso a medicina. Aprire tutto significa trovare più aule e docenti che possano ricevere un carico enorme di studenti e ovviamente ne va la qualità della formazione dei medici perché le nostre strutture ospedaliere possono accogliere studenti fino ad un numero critico che abbiamo già raggiunto. Il vero problema è la mancanza di specialisti. Alcune specialità sono decisamente in crisi e molte borse non vengono assegnate. La medicina d’urgenza, l’anestesiologia, la pediatria e la ginecologia da tre anni mostrano un trend negativo. Sono sempre meno i neolaureati che si indirizzano verso queste discipline e molte borse vanno non assegnate. Le cose vanno meglio con la medicina interna che ha percentuali di saturazione dei posti di specializzazione superiori al 97%."
Per Montano, "la frustrazione dei nostri specializzandi è che l’attuale sistema non si occupa dei problemi dell’acuzie e della cronicità in maniera strutturale e questo aumenta il livello di burn out nella medicina interna, con un fuggi fuggi dagli ospedali. Quindi è necessario capire le ragioni di questa crisi degli specialisti e affrontarla in maniera seria. È il sistema in toto che andrebbe rivisto perché ormai siamo vicini al punto di collasso. Bisogna avere il coraggio di avere una visione generale e una progettualità a lungo termine perché non è con le ‘toppe’ che risolveremo i problemi. Il nostro Servizio sanitario va rivisto profondamente perché era fantastico 45 anni fa quando è nato, ma i pazienti allora erano di un certo tipo, oggi di un altro. Va dunque rivisto tutto, dalla figura del medico di medicina generale, agli specialisti".
Per quanto riguarda il pronto soccorso, continua Montano, si tratta di "baluardo di resistenza civile oltre che sanitario. Un luogo dove i cittadini vedono un riferimento. Ma la sua gestione è sempre più complessa e mette a durissima prova le strutture ospedaliere e chi ci lavora. È necessario agire subito, ma questo non può limitarsi ad aumentare gli organici e a retribuire i medici in maniera adeguata all’enorme carico di lavoro. Il problema del sovraffollamento, con le persone in attesa di ricovero, si risolve solo se i manager della sanità capiscono che è una questione di sistema, di percorso. Ci devono essere letti per le medicine interne e bisogna essere in grado di dimettere i pazienti verso strutture a bassa intensità, una volta che non sono più in fase acuta".
In questo momento, poi, dice Montano, "il territorio è il collo di bottiglia per cui noi non riusciamo a rispondere a tutte le necessità del pronto soccorso, perché abbiamo tanti letti bloccati da ricoveri spesso per motivi sociali. Anche questo inverno ci aspettiamo l’ennesima crisi dei pronto soccorso. Ma sarà sempre così finché non si metterà mano al sistema in maniera concreta, coinvolgendo gli internisti e fin quando non si apriranno posti letto sul territorio. Gli ospedali di comunità ventilati dal Pnrr sarebbero estremamente importanti. Il problema è che non si vedono all’orizzonte e comunque non avremmo neppure i medici e gli infermieri da metterci".
"Il sistema ospedaliero - commenta Giorgio Sesti, presidente Simi - va in crisi se il territorio non fa filtro ai ricoveri, se i reparti non riescono a dimettere perché́ le strutture di riabilitazione e i reparti di post-acuzie non accolgono i dimessi e se il domicilio non accoglie. La continuità assistenziale ospedale-territorio è un punto chiave per garantire il setting assistenziale più appropriato per i pazienti che meritano terapie croniche in lungodegenza e riabilitazione. Per mantenere i tempi di degenza media entro gli obiettivi raccomandati, è necessario chiarire in modo inequivocabile le modalità di passaggio ad altro setting".