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“Il benessere del corpo va di pari passo con il benessere spirituale. Noi medici accettiamo di “farci carico della vita degli altri” quindi abbiamo il compito di “dare vita”, in atre parole “guarire. Dobbiamo riuscire a percepire la sofferenza interiore ed essere in grado di dare a ogni paziente quella carezza emotiva di cui ha bisogno, prima, durante e dopo la terapia”.
Lo afferma il Dottor Antonio Macciò, responsabile del reparto di Ginecologia oncologica dell’Ospedale Armando Businco di Cagliari.
Una vera eccellenza in Sardegna, si occupa del trattamento di tumori maligni ginecologici, nonché di chirurgia endoscopica delle neoformazioni ovariche e uterine.
Si contraddistingue per l’approccio straordinario con le sue pazienti alle quali riserva, insieme all’indiscutibile professionalità, una delicatezza e una lealtà non comuni. Un medico che riesce a comprendere a fondo i sentimenti delle donne che gli chiedono aiuto, le ascolta e le rassicura senza mai illuderle. Crea con loro un rapporto di fiducia inattaccabile, prima come persona, poi come medico.
L’approccio con la spiritualità può fare la differenza per affrontare le cure oncologiche?
Per valutare i risultati di un trattamento la scienza osserva la quantità di “vita in più” che il protocollo medico è stato in grado di dare, ovvero si considera l’aspetto tecnico della “sopravvivenza” quale criterio di giudizio per misurare l’efficacia della cura. Per noi il termine “sopravvivenza” deve andare ben oltre il significato clinico e avere anche una valenza spirituale.
Quando lavoriamo per riportare i nostri pazienti alla vita, l’obiettivo non è soltanto quantificare un dato oggettivabile nella scienza: “il protocollo di chemioterapia mi ha dato sei mesi in più”, per esempio, ma dobbiamo tener presente che chi affronta una patologia tumorale, ha bisogno di un medico che non si limita al solo aspetto terapeutico, ma che si preoccupa delle sue sorti anche una volta uscito dal tunnel della malattia. Perciò sì, è fondamentale unire spiritualità e quotidianità, essere attenti all’essenza dei pazienti per riuscire a percepire la loro anima. Tutto questo può aiutare per affrontare meglio le terapie.
Quando una paziente con una patologia incurabile le chiede aiuto, qual è il suo primo approccio con lei?
Un approccio di speranza che però non deve prevaricare la verità, una paziente che chiede il nostro aiuto deve essere consapevole delle sue condizioni reali. Una volta che è tutto chiaro è necessario farle comprendere che, da quel momento in poi, il suo sarà un ruolo da guerriera e combattente. In questo caso la mente ha un ruolo determinate per accettare l’idea di vincere la battaglia con la malattia e il nostro compito è importante tanto quanto quello delle pazienti. Insieme ci riusciamo!
Come affronta il tema della morte?
Chi lavora con il cancro sa bene che si tratta di una malattia temibilissima. Quando un paziente si ammala gravemente è importante mantenere altissima la qualità della sua vita in questo mondo, ma è altrettanto importante preparare alla morte nella luce, chi va verso l’impossibilità di una cura. Il nostro compito è quello di assistere empaticamente i pazienti e le loro famiglie anche nel terribile momento del distacco.