Già ad agosto avevo scritto dell'argomento con un articolo titolato “Articolo 18. Propaganda o diversivo?”. L'eloquenza del titolo è indiscutibile. Voleva intendere che la battaglia sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è altro che una maniera come un'altra per distrarre l'opinione pubblica da qualche altra manovra che farà male alla “tasca” (per non dire altro) degli italiani. Chiamatela stangatina, o manovra finanziaria, ma rimarrà in buona sostanza, qualche nuova tassa o gabella che soddisfi gli appetiti insaziabili delle casse statali ormai da tempo inesorabilmente vuote.

L'oggetto del contendere infatti (come spiegavo nel precedente articolo) è già stato riformato due anni or sono dalla famigerata professoressa Fornero, maggiormente conosciuta per aver rimandato la pensione a milioni di italiani più che per aver modificato le sanzioni per i licenziamenti illegittimi. Oggi la reintegra, cosi come la intende il nostro ordinamento giuridico, è già prevista solo per i licenziamenti discriminatori, mentre è possibile, ma non obbligatorio, applicarla per quelli dove il fatto posto alla base del licenziamento è insussistente. Per esempio un furto che dovesse risultare non riconducibile al lavoratore licenziato.

Ecco dunque che, viste le premesse, il nostro lady di ferro “Tacheriano”, cosi come lo ha definito la Susannona cigiellina, parrebbe cercare solo la ribalta, utile senz'altro ai fini del consenso ma non per risvolti positivi nell'economia. Una ribalta segnata da venti rivoluzionari che vorrebbero cancellare l'incancellabile: Sindacati, Senato, Province e via cosi nella lunga lista di enti e istituzioni che per la gente sono troppi e troppo costosi. Cosi il batti e ribatti del tormentone estivo, che continua anche sul finire di quest'estate infinita, pare davvero montato ad arte per fare demagogia facile. Con la quale vorrebbe farci credere, il mariuolo, che basterebbero queste rivoluzionarie riforme per far in modo che l'economia riprenda a galoppare. Ci sarà senz'altro chi ci crede veramente, cosi che Mister Ferro avrà gioco facile nel coprire altre “intascate” da infilare nei pantaloni dei cittadini. Mah, chissà, l'autunno sarà maestro. Per intanto infuriano i colpi di teatro, giusto per tenere il popolo attaccato alla Tv ed ai giornali. Oltreché per tenere in allenamento le armate di destra, sinistra e relativi fans, i quali hanno la necessità di uno scopo ideologico per esistere. Si sa, in politica, come nel calcio, si ha bisogno di una bandiera per la quale combattere. Un vessillo nel quale identificarsi che indichi la via maestra da seguire, a prescindere poi dal giusto o sbagliato, dall'utile o l'inutile.

Quando il cavaliere errante di Arcore provò a parlare di modifica dell'articolo 18, fu additato quale rigurgito di nostalgici ricordi dittatoriali, mentre nel silenzio più totale la piccola Elsa ha portato una rivoluzione su una regola del diritto che obbiettivamente portava con se degli eccessi. In passato infatti era sufficiente che il giudice accertasse un vizio di forma della procedura di licenziamento, per rendere vane tutte le, pur sacrosante, ragioni del datore di lavoro.

Oggi che la legge riformata dalla Fornero ha ammorbidito gli eccessi del passato, l'intento riformatore del nostro eroe, non può che essere quello di distrarre il popolo dell'urna da altri problemi irrisolvibili allo stato attuale. Le lungaggini della giustizia per esempio. Quelle che costringono un impresa che deve ricevere un credito, a subire infiniti rinvii e decine di udienze senza che si arrivi nel breve tempo ad una decisione. Una giustizia che nella sua inerzia, agevola il furbastro che ha deciso sin dall'inizio di non pagare. Oppure l'accesso al credito, ancora bloccato dalle banche disinteressate al rischio di impresa, perché maggiormente attratte da lauti guadagni provenienti dal fronte dei titoli di stato, sospinto dagli spreeds pre-montiani. Oppure ancora, gli accordi capestro intrinsechi all'unione europea. L'esempio più eclatante? Il patto di stabilità, che ha il fine ultimo di mantenere un euro forte, anzi fortissimo, il quale rallenta le esportazioni dei beni normali caratteristici del made in Italy.