Il cielo plumbeo di Roma ha accolto imbronciato l’uscita di Giorgio Napolitano dal Quirinale per recarsi a Montecitorio dove lo attendevano Camera e Senato della Repubblica riuniti in seduta comune, unitamente ai rappresentanti delle Regioni. Anche il tempo, dunque, si è  tristemente alleato con le tinte fosche della politica italiana, gestita da una classe dirigente che, incapace di reggersi su se stessa, ha dovuto chiedere, genuflessa,  con i suoi circa due terzi in parlamento, l’inizio di un altro settennato a un capo dello Stato, ottantottenne, che ha accettato l’invito a ricandidarsi di fronte a un Paese disperatamente in crisi.                                                                                                                                                            

“Spiegherò nella giornata di lunedì i termini del mio consenso a proseguire il mandato”, aveva spiegato subito dopo la sua rielezione. Ebbene, Napolitano ha tenuto la parola, ma non c’era da dubitarne. Al termine della formula del giuramento di fedeltà alla Repubblica e al rispetto della Costituzione, il presidente ha passato in rassegna tutti i temi della questione politico-sociale ed economica che affliggono l’Italia, di fronte ai quali la classe politica non ha saputo dare risposte, lasciando che il Paese finesse alla deriva. Parole dure, decise e senza sconti quelle del capo dello Stato. Inerzia totale dei partiti, dunque, di fronte alla disoccupazione, al lavoro e all’emarginazione soprattutto delle donne. "Le imprese sono impaurite", ha sottolineato con voce ferma Napolitano, e tutto il Mezzogiorno è invischiato in una spirale d' impoverimento.       

Stessa sordità della classe politica di fronte alle riforme, a partire da una legge elettorale colpevolmente abnorme. Il tutto, per responsabilità gravi e precise “delle forze politiche che ora mi hanno chiamato per salvare il Paese”, precisa Napolitano.  I passaggi più forti del suo messaggio sono stati sottolineati da applausi scroscianti. Tutti in piedi, anche i parlamentari del movimento 5 Stelle, ma senza farsi sentire.  

"Gli applausi non siano autoreferenziali e non vi inducano a un’autoindulgenza", ha tenuto a sottolineare il capo dello Stato. Di fronte a un’ulteriore sordità, il presidente ha affermato che non esiterà a trarne le conseguenze davanti al Paese, ponendo fine, se necessario, anche al parlamento appena nominato.  Nel corso del suo intervento, ha avuto dei momenti di profonda commozione, interrompendo quasi le parole. A rivelarne tutta la sua umanità sono stati i riferimenti al dramma dei giovani senza lavoro, delle famiglie e delle fasce di popolazione più povere, incapaci di risollevarsi da soli. Visibilmente commosso è apparso anche quando ha ricordato i suoi 28 anni, giovane deputato che portava pure lui la sua pietra per il vivere civile.

Sul piano politico, a detto Napolitano, “non c’è nessun Paese governato da un solo partito”. Se così fosse, ci sarebbe soltanto regressione.  “Tutti i rappresentanti politici devono essere depositari della volontà popolare e non componenti di faziosità”, ha sottolineato con forza il presidente. La rete, quella informatica, riferendosi ai parlamentari grillini, è importante, ma i partiti o movimenti sono indispensabili, ha affermato ancora Napolitano.

Con il movimento 5 Stelle non ci sono "solo differenze anagrafiche", aggiunge, però l’esortazione è quella di abbandonare le contrapposizioni.                                                            &n