A distanza di soli 3 anni dal tragico 4 novembre 2011, per il quale riporto l’articolo di previsione redato 24 ore prima del fenomeno ATTENZIONE AL PONENTE LIGURE, Genova rivive l’incubo dell’alluvione, in modo drammatico e inaspettato. Nella giornata odierna si sprecano le accuse verso chi non ha svolto il proprio dovere, o quello per il quale dovrebbe essere chiamato a lavorare, e si continua a tralasciare il problema cardine: La prevenzione meteorologica.

Genova, si sa, è una città particolarmente esposta a questo tipo di fenomenologia estrema; la particolare configurazione topografica che la vedono ubicata tra un mare particolarmente caldo dopo la stagione estiva, ed elevati rilievi nel retrocittà, la fitta rete di canali e torrenti dal bacino idrografico molto pendente e spesso cementato sono tutti elementi che incentivano calamità di questo tipo. Cosi è avvenuto anche ieri a causa di condizioni meteorologiche che ormai si conoscono da tantissimi anni. L’Italia nord occidentale è esposta da qualche giorno ad un forte afflusso di aria umida da sud est che scorre ad est dell’asse di saccatura protesa sul Mediterraneo occidentale. In questo settore, detto anche il settore ascendente del promontorio altopressorio, si sviluppa la fenomenologia temporalesca più pericolosa, quella pre frontale e indotta sia dalla spinta vigorosa del fronte freddo in ingresso da ovest, sia all’ingresso, in un mare di aria calda, dei primi sbuffi di aria fresca. Nel comparto Ligure, gli sbuffi di aria fresca hanno incentivato una locale circolazione depressionaria che ha permesso, per più ore e tuttora, una convergenza di masse d’aria al suolo tra lo scirocco in risalita dal Tirreno e molto umido e la tramontana in uscita dalla Val Padana. L’accumulo di aria al suolo è stato cosi smaltito attraverso la formazione di imponenti nubi temporalesche che hanno sfruttato il trampolino di lancio (la convergenza al suolo stazionaria per ore) termodinamico e in parte topografico. Inutile rimarcare gli effetti al suolo che ormai conosciamo e che sono indotti dalla notevole quantità di pioggia caduta in piccoli bacini idrografici che da anni conoscono forti problemi di dissesto idrogeologico.

In alcune zone non si dovrebbe costruire, è vero. La natura ha bisogno dei suoi originari spazi per poter sfogare la sua energia in concomitanza di queste occasioni, è vero. Ma ora che ormai si è costruito e che il danno in principio è stato fatto, come bisogna agire?

Esistono i cosiddetti interventi non strutturali, quelli che permettono, una volta conosciuto il rischio meteo, di chiudere le strade, di chiudere le scuole e le attività, di evitare il transito nei ponti, nei sottopassaggi, di predisporre già le squadre di protezione civile nelle zone nevralgiche della città. Questo discorso vale per Genova come per qualsiasi città o paese italiano e sardo. Ma tutto deve nascere da una competente analisi meteorologica. Nella giornata di ieri è stato diramato, in presunto ritardo, un’allerta della protezione civile di criticità moderata col quale sarebbe stato lecito attendersi 60mm in 24h. Ben diverso quello che è avvenuto e che ci si attendeva viste le potenzialità termodinamiche della situazione sinottica vigente, con circa 400mm/24h.

In tutto questo “marasma” gli unici ad avere ragione sono i cittadini. Non sono stati avvisati per tempo, hanno ricevuto una nuova, ennesima calamità naturale nella loro città, nella loro casa, nelle loro attività. Non hanno avuto la minima possibilità di mettere al riparo e in salvo beni perdendo qualsiasi cosa. Ora devono ricominciare da capo dopo soli 3 anni, consapevoli che i tempi di ritorno di questi flash floods si stanno restringendo sempre più. La rabbia è tangibile e giustificata: dovrebbero essere protetti e rassicurati dalle amministrazione, ma non si investe nulla sulla prevenzione meteo, sul futuro.